Appunti su La ginestra

Appunti su La Ginestra. Due note, una sull’epigrafe del testo, la citazione dal Vangelo di Giovanni, l’altra sull’endecasillabo che nel testo della Ginestra è attribuito da Leopardi ad un moderno. In realtà ad un suo cugino, Terenzio Mamiani, uno degli uomini che fecero l’Italia.

Appunti su La Ginestra. Due brani tratti da Tre letture leopardiane, di Carlo Vecce, professore di Letteratura italiana all’Università di Napoli Orientale. Il libro fu pubblicato nel 2000 dal Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati. È disponibile anche in formato digitale sul sito dell’Università Napoli Orientale.

L’epigrafe

Appunti su La Ginestra. Dal salmo al passo giovanneo, che va comunque (come tutte le epigrafi leopardiane, soprattutto queste estreme) inteso nell’interezza del contesto: ed emerge l’attitudine ad una citazione non casuale, l’habitus del filologo (classico e testamentario) che dispone con esattezza i suoi testi sullo scrittoio.

Il luogo è tratto infatti da un episodio che, da un punto di vista simbolico, sembra di estrema importanza per l’ultimo Leopardi dei Paralipomeni e dei Nuovi credenti: l’incontro di Gesù e Nicodemo, incontro che avviene di notte, e che è pervaso (come tutto il vangelo giovanneo) dalla simbologia della luce, che lotta contro le tenebre, conseguendo la vittoria grazie al sacrificio del Figlio dell’Uomo, al suo martirio-testimonianza.

Leggiamo il versetto completo: “Questa è la condanna, che la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive” (III, 19; e cfr. l, 5: “la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta”). L’epigrafe ‘guida’ subito il lettore all’interno del testo, lo porta per mano oltre la prima strofa (la visione dello “sterminator Vesevo” e della forza distruttrice della natura), direttamente al v. 81, al “lume” cui il “secol superbo e sciocco” ha voltato le spalle. Con palese rovesciamento, la luce non è più quella della religione cristiana, ma quella della verità della condizione umana, disvelata dal pensiero filosofico e scientifico dell’età moderna.

Perché allora citare Giovanni, se poi il primario signifìcato religioso viene così distorto? A Leopardi, secondo me, preme comunicare qualcos’altro: non tanto (o non solo) il tema della ‘luce’, ma soprattutto quello del martirio di chi comunica la ‘luce’, di chi ha il coraggio di manifestare la ‘verità’; che è appunto il tema centrale dell’episodio di Nicodemo. Chi parla ha lo stesso tono del ragazzo quattordicenne che invocava il Signore per guidare la sua mano nella battaglia. È l’urgenza della comunicazione, per questo apostolo che si sente completamente isolato, tra reazionari e progressisti, e che sente di avere pochissimo tempo per far sentire ancora la sua voce. Rivolta verso il futuro, e perciò, a suo modo, profetica.

Le magnifiche sorti e progressive

Appunti su La Ginestra. Il celebre verso della Ginestra, “le magnifiche sorti e progressive”, era fornito di una sarcastica nota esplicativa: “Parole d’un moderno, al quale è dovuta tutta la loro eleganza”. La sfortunata espressione del Mamiani si trovava non in un testo poetico, ma nella prosa di dedica degli Inni sacri (di Alessandro Manzoni ndr), in cui si riprendeva il precetto evangelico dell’amarsi l’un l’altro come fratelli, e si esaltavano “le sorti magnifiche e progressive” affidate agli uomini “perché le conducessero ad effetto con savia reciprocanza di virtù e fatiche”.

Nell’originale “le sorti magnifiche e progressive” era già un endecasillabo, ma un po’ zoppo, per l’appunto prosastico, con accenti di 2, 5 e 10; Leopardi, cui preme di criticare soprattutto il termine ‘progressivo’, modifica l’ordine delle parole, isolando comicamente ‘progressive’ alla fine del verso, che ora ha accenti di 3, 6 e 10, con aereo andamento anapestico. La nota rivela lo sdegno leopardiano non solo per il contenuto della parola, ma anche per la sua “eleganza”. Come ha notato acutamente Timpanaro, al purista Leopardi non può non dispiacere questo uso moderno di “progressivo”, un aggettivo antico che significa, in modo neutro, “ciò che va avanti” (tipico ad esempio del lessico scientifico: se ne serve Galileo nel Dialogo dei massimi sistemi, e anche Leopardi nello Zibaldone), e derivato invece ora dal francese “progressif”, influenzato dall’idea e dal mito del progresso.

Guida alla scrittura

  1. Esercizio di comprensione. Leggibilità. Riscrittura
    • Appunti su La ginestra. La prosa del prof. Vecce è molto efficace e sofisticata, richiede un lettore bene istruito. Potreste riscrivere i due brani per renderli accessibili anche a lettori meno colti ma curiosi. I due testi hanno attualmente un punteggio di leggibilità di 45/100 e 42/100 misurati col software di Carlo Alberto Villa. Il problema sono i paragrafi e le singole frasi troppo lunghi/e.
  2. Esercizio di composizione. La recensione
    • Appunti su La ginestra. Supponete di collaborare con un blog di letteratura italiana a cui non sfuggono le novità editoriali. Il direttore del blog vi ha chiesto di recensire il saggio del prof. Carlo Vecce (Unior), Tre letture leopardiane, con particolare riguardo ai due brani sopra riportati. Recuperate il saggio pubblicato in formato digitale sul sito dell’Università Napoli Orientale. Può esservi utile consultarne l’indice prima di accingervi al vostro lavoro. Potete usare come modello la recensione di Sara De Simone sul saggio di  Franco Marcoaldi, I cani sciolti. Comunità di solitari,Einaudi, 2024