Afghanistan e traffico di droga. Il fiume di metamfetamina dell’Afghanistan sfocia anche in Italia. Un anonimo arbusto ha rivoluzionato il mercato della droga mediorientale (e non solo). L’Hindu Kush è la sorgente del corso di cristalli maledetti. Iran, Iraq e Siria ne formano l’alveo. Il nostro paese rischia di diventarne la foce.
Inchiesta di Francesco Paolo La Bionda per Limesonline del 18 agosto 2021. In ItalianaContemporanea il testo è rubricato nell’ archivio storico alla voce Afghanistan. Vent’anni dopo.
L’efedra sinica è un arbusto tenace. Abbonda sulle colline aride dell’Afghanistan centrosettentrionale, dove è chiamata oman. I suoi ciuffi di lunghi steli non hanno valore ornamentale e i suoi pseudofrutti rossi non sono consumati come alimento. Eppure, pur di procurarsela molti contadini afghani sono disposti a inerpicarsi sui pendii rocciosi, armati di falcetto e coraggio.
I narcotrafficanti del paese asiatico hanno scoperto come estrarre il principio attivo contenuto nella pianta, l’efedrina, che utilizzano come precursore per produrre metamfetamina (ndr. efedrina e metanfetamina su Treccani). I contadini guadagnano appena pochi centesimi di dollaro al chilo per questo raccolto. Ma l’attività è comunque redditizia perché l’oppio e la cannabis non crescono bene in quest’area e l’efedra non richiede nemmeno lo sforzo della coltivazione. La domanda è inoltre inesauribile: i mercanti che riforniscono i laboratori clandestini caricano tonnellate di arbusti alla volta sui propri camion.
Proprio l’abbondanza di efedra selvatica ha innescato la diversificazione del narcotraffico afghano,la transizione dal predominio dell’oppio a quello dei cristalli di metamfetamina, chiamati sheesha e resi noti al pubblico occidentale dalla serie tv Breaking Bad. (ndr. Una descrizione della serie televisiva su Wikipedia). Ricavare l’efedrina dalle piante è un’alternativa molto più economica per i criminali locali rispetto alla produzione o all’importazione della sostanza. La sintesi artificiale richiede infatti impianti industriali e la vendita del principio puro o dei farmaci che lo contengono, come preparazioni per curare la tosse e decongestionanti nasali, è regolata proprio per evitarne l’uso illecito.
A portare alla luce la produzione afghana di metamfetamina, fornendo dati preziosi, sono state alcune recenti ricerche della International Drug Policy Unit della London School of Economics, del progetto europeo Eu4Monitoring Drugs (Eu4md) e della Global Initiative Against Transnational Organized Crime (tutti i link sono a cura della Redazione di ItalianaContemporanea). Da queste indagini è emerso che lo stupefacente prodotto in Afghanistan è destinato a soddisfare sia la crescente domanda interna sia il diffuso appetito per la sostanza in Medio Oriente. In primo luogo nel vicino Iran.
La Repubblica Islamica ha un grave problema di tossicodipendenza: una stima ufficiale risalente al 2017 ipotizzava che quasi tre milioni di iraniani, su una popolazione di quasi 83 milioni di abitanti, avessero problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti. L’oppio, il cui consumo è tradizionale, è la droga di gran lunga più popolare insieme all’eroina. Si è diffuso però anche il consumo di cocaina e droghe sintetiche: secondo le stime sopracitate, i tossici di metamfetamina erano poco meno di 250 mila. I consumatori, tenendo conto di chi ne fa uso occasionale e dei poliassuntori, sono sicuramente di più: nella sola Teheran si ritiene l’abbiano provata almeno una volta più di mezzo milione di abitanti.
L’esplosione del consumo di amfetamine in Iran risale a più di un decennio fa. Il numero di laboratori clandestini smantellati dalle autorità rivela una crescita impetuosa della produzione domestica fino al 2013, a cui è seguito un calo costante negli anni successivi. I quantitativi di droga sequestrata hanno invece ripreso a crescere già da diversi anni, fino all’impennata registrata tra il 2018 e il 2019, quando si è passati da poco meno di 3 tonnellate confiscate a 17. L’efficacia repressiva delle autorità e l’aumento della concorrenza in patria hanno infatti spinto i trafficanti iraniani a delocalizzare le attività nel paese vicino.
La produzione di metamfetamina in Afghanistan è cominciata nel 2015 per rifornire il mercato iraniano. Sono stati i chimici persiani e gli afghani che avevano lavorato nei laboratori oltreconfine a fornire la necessaria formazione ai “cuochi” locali. Nei primi anni di attività, tuttavia, i trafficanti sono ricorsi all’importazione di farmaci dal Pakistan per approvvigionarsi di efedrina, incorrendo in costi talmente alti da azzerare i profitti finali. È stata la recente scoperta di una fonte alternativa, economica e a portata di mano, racchiusa in quei cespugli di oman, a far sgorgare impetuoso il flusso dello stupefacente.
Il fiotto di metamfetamina scorre libero attraverso il confine nel letto già tracciato dal traffico di oppio e di eroina. Le regioni iraniane di frontiera sono impoverite e abitate da minoranze discriminate, compresi centinaia di migliaia di profughi afghani. Il rischio di essere impiccati per narcotraffico per alcuni è preferibile a quello di morire di fame o sui campi di battaglia siriani, nelle file delle milizie mandate in aiuto del regime di Bashar al-Assad. I trafficanti girano comunque armati fino ai denti e la guerra ufficiosa con le guardie di frontiera ha mietuto migliaia di vittime nel corso dei decenni.
Parte della droga travalica poi i confini persiani. I narcos di Teheran stanno aumentando le esportazioni all’estero. Uno dei paesi più colpiti, in virtù degli alti profitti che garantisce il suo mercato, è l’Australia. Sono in crescita sia il numero dei sequestri sia i quantitativi di metamfetamina trafficata nel paese oceanico: lo scorso gennaio due cittadini iraniani sono stati arrestati a Sydney per essersi fatti spedire 250 chili di prodotto, per un valore finale equivalente a 120 milioni di euro.
A ovest, il fiume di cristalli termina – forse – il suo viaggio defluendo in Iraq. La febbre per l’amfetamina nel paese arabo ha avuto un primo picco nel 2014, durante l’apogeo dello Stato Islamico (Isis). I jihadisti di al-Baghdadi erano ben forniti di pillole di fenetillina (Captagon), prodotta o importata dalla Siria. La consumavano per mantenersi vigili e spietati sui campi di battaglia e la trafficavano per rimpolpare le casse dell’organizzazione. Il crollo territoriale dell’Isis e la ripresa del controllo delle frontiere da parte dell’esercito iracheno ha prosciugato il flusso, lasciando campo libero al prodotto in arrivo dall’Iran.
La metamfetamina costituisce oggi il 60% della droga trafficata in Iraq e il suo epicentro sono le province meridionali, lungo il poroso confine con la Repubblica Islamica. Secondo gli ufficiali iracheni, tutti i gruppi armati hanno le mani in pasta nel traffico: bande criminali comuni, estremisti sunniti e milizie sciite. Queste ultime, oltre a godere della protezione dei pasdaran iraniani, si servono del narcotraffico per alimentare lo scontro politico con i rivali sunniti. Nelle aree sotto il proprio controllo i gruppi armati sciiti costringono i negozi di liquori a chiudere, con le buone o con le cattive. Una battaglia portata avanti in nome del divieto coranico di bere alcolici, in realtà rivolta contro la Turchia sunnita, i cui fornitori detengono il monopolio delle esportazioni di whisky e affini in territorio iracheno. A chi vuole sballarsi i miliziani offrono un’alternativa: la metamfetamina iraniana.
Gli altri teatri regionali di conflitto, Siria e Libano, subiscono anch’essi un aumento dei problemilegati al consumo di sostanze, lecite e illecite, e continuano a essere centri di produzione di fenetillina. Lo scorso luglio nel porto di Salerno la Guardia di finanza ha sequestrato un colossale carico di pillole, ben 84 milioni, nascoste in tre container provenienti dalla Siria. La spedizione era partita dal porto di Latakia, roccaforte del regime di Assad: al pari dei rivali jihadisti, anche il dittatore siriano e i suoi alleati libanesi degli Hezbollah ricorrono al narcotraffico per finanziare il costoso sforzo bellico.
Il sequestro di Salerno è la prova lampante che la febbre delle amfetamine in Medio Oriente deve preoccupare l’Italia. Seguendo le stesse rotte già battute dall’eroina, l’efedra contenuta negli steli afghani potrebbe arrivare presto nelle piazze di spaccio nostrane. Le mafie sono già attente e pronte a cogliere l’opportunità: gli investigatori sospettano che il colossale carico di pillole siriane fosse destinato a rifornire la camorra. I clan avrebbero così ovviato alle difficoltà di approvvigionamento dai canali europei tradizionali, messi alla prova dalle strette frontaliere legate all’epidemia.
La lotta al narcotraffico mediorientale non può però prescindere dalla formulazione e dall’applicazione di una valida strategia politica per la stabilizzazione della regione. La pace e la prosperità sono indispensabili per il rafforzamento e la cooperazione delle autorità nazionali dei singoli paesi. Sono necessarie anche per sottrarre ai trafficanti il loro primo bacino di utenza, quello locale. La crisi economica in Libano e in Iran e i conflitti senza fine in Iraq, Siria e Afghanistan costituiscono delle realtà da cui molti dei loro abitanti, soprattutto i giovani, anelano a fuggire. Chi non può farlo fisicamente, andando a ingrossare le file del dramma umano dell’emigrazione, ricorre all’evasione mentale. Anche con l’aiuto di un cristallo, in apparenza magico ma in realtà maledetto.
Guida alla lettura
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- Il testo dichiara di cosa si occupa: dell’esedra sinica selvatica (primi tre paragrafi).
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- L’esportazione verso l’Iran (paragrafi cinque, sei, sette, otto)
- ….. completate
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