Arte antica in cambio di armi

Inchiesta di Domenico Quirico. La Stampa del 16 ottobre 2016. Arte antica in cambio di armi, affari d’oro in Italia per l’asse fra Isis e ’ndrangheta. È a Gioia Tauro la base di smistamento dei reperti saccheggiati. La testa di una statua razziata in Libia costa 60 mila euro. Su italianaContemporanea il testo è rubricato in Guerra. Pagina storica.


A Vietri sul Mare dove inizia l’autostrada Napoli-Reggio: l’appuntamento con l’emissario che arriva dalla Calabria è, a metà pomeriggio, all’albergo Lloyd. Un posto «sicuro» che lui stesso ha indicato. Sono qui per comprare reperti archeologici arrivati da Sirte, bastione degli indemoniati dell’Isis, al porto di Gioia Tauro. 

Sì, non è un errore: Gioia Tauro. Sono stati saccheggiati con metodo nelle terre controllate dal Califfato islamico, Libia e vicino Oriente. Gli islamisti li scambiano con armi (kalashnikov e Rpg anticarro). Le armi arrivano dalla Moldavia e dall’Ucraina attraverso la mafia russa. Mediatori e venditori appartengono alle famiglie della ’ndrangheta di Lamezia. E alla camorra campana. Il trasporto è assicurato dalla criminalità cinese con le loro innumerevoli navi e container.  

Adesso che l’ora dell’appuntamento si avvicina mi sento a disagio. Eccomi qua a ingannare il tempo, in questa parte d’Italia dove i gruppi criminali sono così parte integrante della vita urbana che i loro scontri, le loro divisioni incessanti, i loro compromessi sono più importanti della vicissitudini della politica. Un uomo della reception si avvicina, sistema dei cuscini e chiede se abbiamo bisogno di qualcosa. L’uomo che mi ha procurato il contatto sembra anche lui di colpo più nervoso, e ha uno strano modo di non guardarmi, ora, mentre mi parla. 

«Non illuderti, forse tutto filerà liscio ma ci sono mille possibili impicci: che il venditore ti abbia visto una volta in televisione, e ti riconosca per esempio… che abbiano fatto controlli preventivi… Bisogna fare attenzione… sono dappertutto… anche questo, dove siamo adesso, in città, è terreno loro…». 

L’uomo è puntualissimo. Sembra un ragazzone un po’ invecchiato, una certa flaccidezza nei lineamenti. Eppure, una sorta di voracità nella bocca, qualcosa di torbido nello sguardo come una vibrazione fredda che incute paura. Una mia impressione? 

L’albergo era solo un punto di riferimento: non va bene per vedere i reperti e trattare il prezzo. Dobbiamo spostarci in un luogo meno frequentato. Percorriamo una strada secondaria, angusta, piccole Madonne spuntano a ogni punto più minaccioso della roccia. Il mare così lussuoso, così ricco di inafferrabile dolcezza, di esaltato gusto di vivere qui non si vede più. Questa è una terra dove la Storia ha passato mille volte l’aratro, grattando il suolo con il puntone dei tombaroli si potrebbe sentire il vuoto di una tomba greca o romana. Su un muricciolo stanno seduti alcuni uomini dallo sguardo impenetrabile, come uccelli sul filo della luce. Ci guardano passare. 

La macelleria  

Ecco, siamo arrivati: una costruzione stranamente nuova, totalmente isolata, dove la strada asfaltata finisce. Arriva un’auto, due ragazzi scendono, aprono un portone. L’ultimo controllo. L’auto del trafficante si infila a marcia indietro. È un laboratorio di macelleria.  

Un odore intenso, che stordisce, ci investe, di sangue, di carne macellata. Appesi ai ganci pendono salumi già lavorati e quarti di animale che attendono ancora il coltello del beccaio. Dal bagaglio dell’auto avvolto in un telo bianco esce il mio possibile acquisto. L’imperatore mi fissa, deposto sulla lastra di metallo del tavolo del macellaio, con il suo eterno sguardo di marmo, il naso leggermente abraso, la barba e i capelli magnificamente incisi dal bulino dello scultore del secondo secolo dopo Cristo, pieno di rigonfia e marmorea romanità. Dal collo spunta, reciso, il perno di bronzo che lo teneva collegato alla statua. Mi fa un po’ senso: come se l’avessero appena decapitato, lì, per mostrarmelo nel suo cimiteriale splendore.   

Il trafficante mi spiega che era in un’altra Neapolis, quella libica, la romana Leptis Magna. Con Cirene e Sabrata sono i luoghi di provenienza di tutti tesori che mi mostrerà. Luoghi che jihadisti controllano o hanno controllato. Ma, rifletto, anche gli islamisti «moderati» di Misurata, quelli legati ai Fratelli Musulmani a cui sembra riconosciamo un ruolo di alleati affidabili nella lotta ai cattivi del Califfato.  

È il momento di parlare di denaro. Trattiamo. Sessantamila euro per l’imperatore. Molto meno per un delizioso cammeo con la testa di Augusto. L’emissario della Famiglia calabrese parla con proprietà di epoche storiche classiche, di marchi di scultori e di vasai. È abile, mescola agli oggetti libici anche altri reperti prelevati clandestinamente in necropoli greche in Italia, svela, racconta, ma parla di oggetti di «due anni fa»: in modo di poter negare, se necessario, le circostanze più gravi. E al massimo rischierà un accusa di ricettazione: tre anni. 

«Da dove viene questa testa? Questa viene dalla Libia. Armi in cambio di statue, anfore, urne: funziona così… Il materiale arriva a Gioia Tauro, una volta era qui a Napoli, poi qualcosa è cambiato. Adesso ci sono problemi, tanti problemi con questi migranti di merda, il mare della Libia è pieno di flotte, controlli, polizie. Volete reperti del Medio Oriente? Ci sono anche quelli ma i prezzi sono molto molto più cari e dovreste andare a trattare direttamente a Gioia Tauro… E non ve lo consiglio». 

L’incredibile alleanza  

Ancora Isis e ’ndrangheta, ’ndrangheta e Isis: a ogni passo la loro traccia visibile, la loro incredibile alleanza. Anche qui davanti a questo trafficante che mi lancia occhiate furbe. Fino a poco tempo fa gli acquirenti erano americani, musei e privati. Quando hanno scoperto che i soldi servivano a comprare armi per l’Isis gli americani hanno bloccato tutto. Ora i clienti sono in Russia, Cina, Giappone, Emirati. 

Per lui sono un ricco collezionista torinese che cerca oggetti delle colonie greche e romane d’Africa. Mi fingo insoddisfatto, chiedo cose ancor più rare: non ho problemi di prezzo se vale. Allora il trafficante mi mostra alcune foto: una ciclopica testa di una divinità greca. 

«Un metro e dieci e un peso di undici quintali. Guardi, dottore, questo colore sopra la testa: portava una corona che poi si è consumata, non so se era di bronzo o di rame, viene dalla Libia, ma stiamo parlando di un’altra storia. Il prezzo è trattabile, per questa mi hanno chiesto un milione di euro ma se mi fa una proposta di 800.000 euro va bene. In più c’è da pagare il trasporto, deve venire con una persona che ne capisce… un archeologo. Le dico la verità, non è mia, sto facendo le trattative per conto di altri, dottore… Questa deve andare a un museo non a un privato. C’è un mercato di cui non avete la più pallida idea ma ora abbiamo dei problemi come le ho detto per la guerra. Stavo trattando con una persona mandata da un attore americano famoso, alla fine per 50.000 euro non ci siamo trovati. Questa o prende la strada di un museo o va negli Emirati arabi o va in Russia, queste sono le destinazioni». 

La testa dell’imperatore  

Dico di essere molto tentato dalla testa dell’imperatore, ma come posso essere sicuro che non sono falsi? E poi non giro certo con centomila euro in tasca. «Prenda tutto, dottore, lo tiene quindici giorni, non uno di più! Fa tutte le verifiche che vuole, archeologi tutto… poi mi fa avere i soldi e noi non ci siamo mai conosciuti. Problemi a esporre la testa? Suvvia! Lo metta in salotto, bene in vista, se qualcuno gli fa domande dica che l’ha comprata a un mercato delle pulci per cinquanta euro e che è una bella copia». 

Rinuncio all’offerta, dico che entro tre giorni gli darò una risposta. Ci allontaniamo. Lungo la stradina gli uomini sono sempre seduti sul muricciolo. Ci seguono con il loro sguardo enigmatico.  

La pista del Kgb  

Racconto il mio incontro a due consulenti internazionali in materia di sicurezza, Shawn Winter, militare proveniente dalle forze armate degli Stati Uniti e l’italiano Mario Scaramella. Che mi propongono una pista che porta a un burattinaio ancor più sconcertante: il traffico dei reperti sarebbe in realtà diretto dai Servizi russi, eredi del Kgb. Un altro indizio che si legherebbe, nell’organigramma del crimine, a quelli dei ceceni e degli uzbechi di cui ci sono prove siano passati per campi di addestramento russi, diventati poi comandanti di formazioni jihadiste. O la presenza tra i fondatori dell’Isis di alti ufficiali del dissolto esercito di Saddam Hussein addestrati dai sovietici.  

L’Isis ha la possibilità di piegare e usare formazioni criminali come camorra e ’ndrangheta per semplici ruoli gregari? E di montare una organizzazione internazionale in grado si superare controlli e repressione del traffico su scala internazionale affidati a corpi di grande valore e esperienza come i carabinieri italiani? Di entrare su un mercato, quello dei reperti archeologici, con gerarchie e meccanismi e regole molto rigide e consolidate? Solo uno Stato, una superpotenza è in grado di muovere un traffico così sofisticato, ramificato e «colto», non certo terroristi impegnati in una guerra senza quartiere.  

Mi mostrano un documento, inedito finora: il verbale originale degli interrogatori, nel 2005, del colonnello del Kgb Alexandr Litvinienko, grande custode dei segreti russi. Litvinienko spiegò a Scaramella come il Kgb rifornisse un museo segreto nel centro di Mosca, non lontano dal Boradinskaya Panorama, dove erano riuniti reperti di incalcolabile valore razziati in Medio Oriente e pagati con armi ai palestinesi. Un museo che non poteva organizzare visite e mostre perché i proprietari avrebbero riconosciuto i loro oggetti. Era riservato alla nomenklatura sovietica. Qualche oggetto ogni tanto veniva prelevato: un regalo alle mogli dei dirigenti supremi.  


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