Benvenuti nell’era delle parole imprecise

Benvenuti nell’era delle parole imprecise. Posso però dirvi cosa intendono adesso quelli che accusano qualcuno di cinismo. Un colorito corsivo di Guia Soncini su LaStampa del 27 marzo 2022. Su ItalianaContemporanea è rubricato nella pagina L’italiano a scuola.

Il testo è di 1.075 parole e richiede circa 4′ per la lettura


Quarant’anni fa, Christopher Hitchens venne mandato a fare un reportage a Praga. Christopher Hitchens era uno dei più lucidi scrittori nostri coevi, e se non lo conoscete dovreste andare a recuperare i suoi libri invece di perdere tempo con me; gli piacevano le parole precise, non quelle usurate dalla sciatteria, e quindi partì per Praga ripromettendosi, qualunque cosa succedesse, di non definire mai nulla «kafkiano». A un certo punto lo arrestarono; quando chiese perché, gli dissero che non aveva diritto di conoscere le ragioni dell’arresto. Nella sua cronaca di quei giorni, a quel punto scriveva: uno non vorrebbe dire «kafkiano», ma ti ci costringono. «Cinico» è come «kafkiano», che è come «radical chic», che è come «resilienza»: parole che una volta significavano qualcosa, poi le abbiamo consumate con la nostra imprecisione (di precise parole, si vive, e di grande teatro, cantava Fossati quand’aveva ancora voglia di cantare e quand’ancora esistevano sia le precise parole sia il grande teatro).

L’avidità non c’entra

Non sarò certo io a spiegarvi cosa significasse «cinismo» quand’ancora significava qualcosa: c’è Andrea Marcolongo che sa farlo molto meglio di me. Posso però dirvi cosa intendono adesso quelli che accusano qualcuno di cinismo un po’ per farci sapere che hanno fatto il liceo classico un po’ per posizionarsi come persone sensibili. Intendono: un po’ stronzo. Qualcuno si arricchisce sulle disgrazie altrui? è cinico. No, guarda veramente i cinici – t’interrompi a metà frase perché ti stai annoiando da sola ad argomentare come il cinismo nulla c’entri con l’avidità, davvero, ti giuro, semmai il contrario, quegli illusi dei cinici pensavano che la ricchezza fosse un obiettivo sbagliato. Tu intendi dire che quel tizio lì è uno stronzo, ma non ti piace dire le parolacce, io ti capisco, c’è però il problema che quelle che chiami «parolacce» sono meno volgari delle parole imprecise, qual è «cinico» usato in questo contesto.

Inerpicarsi sugli etimi

Qualcuno non crede alla versione sentimentale e dolente e ricattatoria d’una qualche storia? è cinico. No, guarda, semmai sarà scettico, il cinismo non – di nuovo, sbadigli di te stessa, ti sloghi la mandibola per la noia d’ascoltarti mentre t’inerpichi su per gli etimi, tu che eri pure ripetente, che mondo è mai questo in cui tocca a te spiegare a quelli che andavano bene a scuola quali parole vadano usate. E, soprattutto, le parole giuste sono di nuovo «è un po’ stronzo». Con un’avversativa, che è quella per la quale, temo, è entrata nell’uso comune un’accezione insensata di «cinico». L’avversativa è: ma ha ragione. È un po’ stronzo, ma ha ragione.

I pensieri presentabili

La tizia che dice sì, va bene, i diritti delle persone trans, la mistica del genere, ma poi alla fine il sesso è una questione di corpi, e nei contesti in cui è il corpo a essere centrale – lo sport, gli spogliatoi – non me ne importa niente di come ti percepisci: se hai una muscolatura maschile devi gareggiare coi maschi; quella tizia lì è un po’ stronza – cioè: va contro il pensiero presentabile in questo momento storico, che in effetti non è una definizione scorretta di «cinismo» – ma ha ragione.

La fatica di seguire

Il tizio che sbuffa perché ha scritto un grande romanzo, la storia i personaggi le ricerche i dettagli lo stile la trama, e venderà sicuramente meno di chiunque abbia una dolenza da raccontare in prima persona, di chiunque possa fare da specchio alle nostre fragilità e ai nostri sentimentalismi, di chiunque si faccia bastare l’emotività invece di farci fare la fatica di seguire una storia stratificata – l’autore ha avuto un’infanzia infelice, anch’io!, l’autrice da adolescente si sentiva brutta, anch’io! – quel tizio che inveisce perché è nato in un tempo che non premia il talento e il lavoro ma sempre e solo l’immedesimabilità, e mi spiace tanto tu soffra perché non ti hanno voluto bene, ma questo non basta a fare di te un autore talentuoso, quel tizio lì, quello che pretende un mercato diverso, un pubblico diverso, un tempo diverso, quello lì è un po’ stronzo, ma ha ragione.

Darsi ragione in pubblico

Se fosse così lineare, l’uso di «cinico» avrebbe senso: una parola sola vince sempre su una locuzione di sei parole. Se fossimo tutti d’accordo sul fatto che «cinico» è non solo quello un po’ stronzo ma anche quello al quale scriviamo in privato per dirgli «sono d’accordo con te, ma hai una posizione così impresentabile che mi guardo bene dal darti ragione in pubblico». Ma, come già detto, è molto più lasco: viene usato «cinico» per chiunque, da quello che ride parlando dei terremotati a quello che fa una battuta sul guaio X senza tener conto che nell’uditorio c’è inevitabilmente qualcuno afflitto dal guaio X.

La fine della terza persona

Il fatto è che per il cinismo vale quello che vale per la terza persona. Avete mai provato a dire a un ventenne di non darvi del tu? Lo faccio continuamente, è una mia fissa: se abbiamo una lingua con registri formali non vedo perché non usarli, e i primi a usarli sarà bene siano gli sconosciuti che hanno meno della metà dei miei anni, quando si rivolgono a me. Se incontrate un ventenne non sgarbato, e gli dite di non darvi del tu, quello risponderа: ah, scusa. Non dice «ah, scusi» perché è sarcastico? Macché: non sa coniugare la terza persona. Non ho idea di quando sia successo che i ragazzi abbiano cominciato ad arrivare all’università senza saper coniugare i verbi, ma è andata così, scusate se (cinicamente, direte) lo noto.

Il perdono di Hitchens

Mi viene da (cinicamente, direte) ridere ogni volta che si parla della schwa non perché m’importi granché del capriccio di rendere neutra una lingua coi generi, ma perché mi piacciono le precise parole, e quindi ne noto l’assenza, e quindi so con quale frequenza gente il cui mestiere è scrivere si confonda tra «le» e «gli»: abbiamo ben pensato di complicare ulteriormente la lingua con un segno ignoto, in un tempo in cui agli adulti mancano persino le nozioni elementari. Quindi non mi lamenterò dell’uso distorto di «cinico» che verrà fatto per liquidare queste mie osservazioni (lo so: avete figli ventenni coltissimi e perfettamente in grado di coniugare i verbi e non mi devo permettere). Cercherò di essere io la prima a praticare un’igiene lessicale, e a non dire che tutto questo – l’uso sciatto delle parole che diventa uso prescrittivo di parole che non vogliono dire quel che si crede – è orwelliano. Che Hitchens mi perdoni.

Guida alla lettura

  1. Il testo nomina Hitchens e Fossati e Marcolongo. Chi sono?
  2. Il testo ha un indice di leggibilità 57 (indice Gulpease, calcolato on line con farfalla-project). Riscrivetelo, cercando di raggiungere 60, cioè il livello di lettura comprensibile a chi ha la licenza media. Agite sulla lunghezza delle frasi: parecchie contengono più di 25 parole, vi basta intervenire su qualcuna.