Buona scuola? Buoni insegnanti

Buona scuola? Buoni insegnanti. «Gli insegnanti come Robin Williams nell’Attimo fuggente sono dei maestri. Ma i maestri così, sono pochi. Abbiamo bisogno, invece, di tanti insegnanti che padroneggino una didattica più ricca e varia, sappiano lavorare in squadra, programmino insieme le attività, siano preparati a gestire la vita scolastica degli adolescenti, motivandoli e stimolando i loro interessi». Intervista ad Andrea Gavosto di Flavia Amabile, pubblicata su LaStampa del 30 aprile 2022. Il testo consta di 1.002 parole e richiede un tempo di lettura di 4 minuti.

Su ItalianaContemporanea l’intervista è indicizzata nell’Archivio storico per argomento, L’italiano a scuola.


Dimenticate le classi pollaio, i maestri carismatici sul modello dell’Attimo Fuggente. Dimenticate soprattutto la riforma della Buona Scuola di Matteo Renzi e i continui aggiornamenti su come formare nuovi insegnanti. La scuola ha bisogno di altro e Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, lo racconta nel suo ultimo saggio La scuola bloccata (Laterza) con un consiglio ai genitori: di rompere le scatole a insegnanti e presidi per ottenere un insegnamento migliore.

E un miglioramento è necessario: i risultati ottenuti dagli studenti sono scoraggianti. Il 13 per cento non termina le scuole superiori e la metа le termina senza aver raggiunto dei livelli accettabili di apprendimento in matematica. Si è data la colpa al Covid ma dall’analisi presente nel libro si comprende che sarebbe quasi preferibile che fosse la Didattica a distanza il problema.
«Il Covid ha causato una perdita di apprendimenti molto grave a tutti i livelli. Andava affrontata con urgenza e determinazione, ma per ora si è fatto troppo poco per recuperarla. Per il resto, la pandemia ha messo in luce e accentuato ritardi – didattici, tecnologici, geografici, sociali – che nella nostra scuola ci sono da anni. Ma non ne ha creati di veramente nuovi».

Entro il 2030 le classi italiane perderanno più di un milione di studenti. Diventerà una scuola per pochi?
«Non per pochi, di certo per un minor numero di studenti. Nel medio periodo, gli andamenti demografici non si invertono. Allora, io dico: che sia un’occasione per curarsi meglio degli studenti, per un’istruzione di miglior qualità, investendo nella didattica ed estendendo il tempo scuola»

Le classi pollaio non sono un problema, è la tesi sostenuta nel libro. Eppure in alcune realtà esistono e provocano ritardi e difficoltà. Sono marginali?
«Sì, è un fenomeno marginale, spesso gonfiato per ragioni di consenso politico e per ottenere più cattedre. Parliamo dello 0,5 per cento delle classi, concentrate nelle grandi città e nelle prime classi delle superiori. Affrontiamolo dove c’è, sapendo però che l’Italia ha già oggi meno studenti per classe rispetto a molti altri paesi. E le tendenze demografiche ridurranno ancora il rapporto».

Medie e superiori sono il grande problema della scuola. Che cosa non funziona?
«Alle medie manca una vera missione da quando l’obbligo scolastico non è più a 14 anni: ora dovrebbe essere orientare gli studenti alle scelte di studio successive, così da tener in maggior conto le loro inclinazioni. Inoltre, bisogna evitare che alle medie si aprano i divari socioculturali, come succede oggi. Nelle superiori occorre distinguere: i licei e, tutto sommato, gli istituti tecnici fanno il loro mestiere. Non funziona, invece, l’istruzione professionale, statale o regionale: la spiegazione è che qui si concentrano gli studenti più deboli e svantaggiati».

Il Sud è ancora in forte ritardo. Da che cosa dipende?
«Da molti fattori: del resto, i divari territoriali li vediamo in tutte le dimensioni sociali del Paese. Nella scuola, i ritardi si misurano in anni di apprendimento. Giocano certamente l’assenza di nidi e scuole dell’infanzia, il minor uso del tempo pieno e la poca attenzione delle famiglie alla qualità dell’istruzione. Forse, si pensa troppo al pezzo di carta e meno a ciò che i ragazzi hanno davvero imparato».

L’aumento dei precari a partire dal 2016 è un pesante atto d’accusa nei confronti della Buona Scuola. Avrebbe dovuto eliminare il precariato e invece lo sta alimentando.
«La Buona Scuola partiva da un ragionamento errato: che sistemando una categoria di supplenti, quelli “storici” delle graduatorie a esaurimento, si sarebbe risolto il problema del precariato. Che, invece, ha le sue radici nel meccanismo di assunzione dei docenti, da tempo fallimentare».

La formazione iniziale sembra essere per gli insegnanti quello che la maturità è per gli studenti: un terreno di caccia della politica. È così?
«Parlerei di scarsa comprensione di quanto conti la formazione, da parte di tutti gli ultimi governi. Se avessimo un corpo docente a cui viene data una buona formazione iniziale e in servizio, come ad esempio in Finlandia, avremmo risolto buona parte dei problemi di qualità della nostra scuola».

La scuola non ha bisogno del maestro dell’Attimo fuggente, è un’altra delle affermazioni contenute nel libro. Di che insegnanti ha bisogno allora?
«I maestri così sono pochi e non servono a una scuola moderna. Abbiamo bisogno, invece, di tanti insegnanti che padroneggino una didattica più ricca e varia, sappiano lavorare in squadra, programmino insieme le attività, siano preparati a gestire la vita scolastica degli adolescenti, motivandoli e stimolando i loro interessi. Nella scuola primaria è giа così».

Come si sblocca la scuola?
«In tre modi. Primo, creando incentivi per i docenti: una vera carriera, una migliore formazione, aumenti retributivi congrui. Secondo, facendo partecipare di più le famiglie alla vita della scuola, sia creando frequenti momenti di scambio di informazioni sia coinvolgendo i genitori nelle attività quotidiane dei ragazzi. Terzo, adottando una strategia di riforme graduali e di lungo periodo, che possano essere messe alla prova del tempo: l’epoca della “grande riforma della scuola” è ormai alle spalle».

Che ruolo devono avere le famiglie?
«Le famiglie vanno costantemente informate di quello che fanno le scuole, rendendo trasparenti i risultati degli apprendimenti. Non devono avere paura di “rompere le scatole” a insegnanti e presidi perché le cose a scuola migliorino, senza però mai superare il confine della buona educazione. L’equilibrio non è facile, ma si può raggiungere con un dialogo continuo».

Rispetto allo scenario per nulla roseo delineato nel libro il governo sta adottando le decisioni giuste oppure sta ancora una volta peccando di approssimazione e dilettantismo?
«Il PNRR contiene riforme e investimenti cruciali, come quelli per l’edilizia scolastica. Molti interventi, però, sono ancora da definire e realizzare. Per un giudizio si dovrà attendere. La più importante delle riforme finora presentate, quella del reclutamento e della formazione dei docenti delle scuole secondarie, ha aspetti positivi, come l’enfasi sulla preparazione didattica. Ma anche problemi, come il percorso separato per i supplenti con tre anni di servizio e l’introduzione di aumenti di stipendio non legati a un percorso di carriera. E, peraltro, solo per la metà di coloro che ne avrebbero i requisiti».

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