Che carogna Ulisse con Penelope! Sapete tutti certamente che Odisseo (Ulisse, alla latina) arriva finalmente a Itaca dopo il suo lungo e doloroso viaggio di ritorno da Troia distrutta. È solo. Tutti i suoi compagni sono morti. Ha perduto tutto il bottino di guerra. È molto cauto quando mette piede sulla sua isola, perché, unico tra gli uomini, è sceso nel mondo dei morti, dove Tiresia, il veggente, gli ha preannunciato un ritorno drammatico alla sua casa.
Da anni infatti Itaca non ha più un re, e molti giovani principi, considerando Odisseo morto, aspirano al titolo, sposandone la vedova. Occupano permanentemente la sua casa, molestano tutti quelli che ci vivono: le ancelle, Penelope stessa, e Telemaco, figlio suo e di Odisseo, e Laerte, il padre di Odisseo. Tiresia racconta queste cose per mettere in guardia l’eroe che lo interroga.Leggi di più
Molto emozionato è poi l’incontro con l’ombra di Agamennone, assassinato al suo ritorno da sua moglie Clitennestra che nel frattempo si è presa un altro uomo.
Dice Agamennone a Odisseo: Dunque anche tu con la donna non esser mai dolce non confidarle ogni parola che sai ma di’ una cosa e lascia un’altra nascosta. Odissea XI, 441-443
Tralascerò di commentare i motivi di Clitennestra che uccidendo Agamennone vendica la morte della figlia Ifigenia. La fanciulla fu sacrificata da Agamennone suo padre, per ottenere dagli dei vento favorevole alla flotta in partenza per la guerra di Troia.
Quando dunque Odisseo arriva a Itaca, memore dell’avvertimento venutogli dai morti, non scende nel porto principale, ma in un luogo della costa molto più appartato. Non va a casa sua, ma a quella del porcaio Eumeo. A questa casa giunge nella notte anche Telemaco, che viene da Sparta, dove è andato a cercar notizie di suo padre ed è appena sfuggito ad un attentato perpetrato dai pretendenti di sua madre. Quando Odisseo è partito per Troia, vent’anni prima, Telemaco era appena nato. Quindi né Telemaco conosce Odisseo, né Odisseo conosce Telemaco. Ma a questo giovane sconosciuto Odisseo si rivela, e proibisce che altri, cioè anche Penelope, vengano a sapere del suo ritorno.
C’è una scena che si svolge nella casa di Odisseo la notte prima della vendetta. Penelope sa che è arrivato un mendicante, vorrebbe incontrarlo, come ha fatto sempre nel corso degli anni, interrogando chiunque potesse darle notizie di suo marito. Si comporta con il decoro che in genere è socialmente richiesto alle donne. Non si presenta al mendicante senza essere annunciata dalla sua fida Euriclea, la balia di Odisseo, e ora sua personale fantesca.
Seduta di fronte al mendicante nella sala finalmente deserta e in penombra Penelope piange nel rievocare la durezza degli ultimi anni. Ma lui è implacabile, freddo e bugiardo. Il giorno dopo Odisseo mette in atto il piano concordato con Telemaco, e ha la sua vendetta. Solo quando tutto è finito Odisseo si manifesta a Penelope
Vi ho raccontato questa storia perché mi consente di farvi capire quant’è offensivo Ulisse con sua moglie Penelope. Non esita a svelare se stesso e i suoi piani a Telemaco, e si nasconde invece a sua moglie! Non si fida di lei! Che carogna Ulisse con Penelope!
Eppure la sua sfiducia è ingiustificata. Sono i versi di Omero a dirlo. Proprio nel colloquio notturno che precede il giorno della vendetta, infatti, Penelope gli racconta come stia resistendo da anni ormai alle insidie sempre più prepotenti degli uomini che vogliono sposarla, mentre lei non vuole sposare nessuno. Gli racconta l’inganno della tela che l’ha protetta per un bel po’, finché non è stato scoperto per la spiata di una delle ancelle. Penelope piange nel rievocare le prepotenze subite. Ma Odisseo le racconta una sacco di bugie. Anche con Euriclea, la vecchia balia, è minaccioso. Lei lo riconosce mentre gli sta lavando i piedi e nota una cicatrice, sta per rivelare l’identità del mendicante a Penelope, ma lui le intima autoritario di tacere. Fino alla fine non si fida.
E che dire di Telemaco? Anche il suo comportamento per noi è inaccettabile. Telemaco dovrebbe sapere bene che angherie Penelope stia sopportando! Invece sembra non esserne cosciente, come se non vivesse nella stessa casa di sua madre.
Dice a suo padre, che ancora non gli si è rivelato: Lei non rifiuta le nozze odiose, e nemmeno ha coraggio di compierle… Odissea, XVI, 126-127
La situazione che sua madre vive, la prepotenza che subisce non è percepita dal giovane Telemaco: sarà che è giovane o che è tardo di comprendonio? O non capisce perché glielo impedisce la sua visione maschilista del mondo.
Amare l’Odissea: perché mai?
Ho amato molto l’Odissea di Omero. La leggo da quando ero al liceo e capivo che la traduzione è certamente esercizio linguistico – e che esercizio! – ma non è solo esercizio linguistico. È anche esercizio di pazienza, la pazienza della comprensione: ciò che è diverso, ciò che è altro è difficile da capire, difficile da accettare. Non fermarsi davanti a ciò che non ci piace, scandagliare il suo senso, è traduzione.
Tradurre è ponte tra culture diverse. La traduzione è etica della comprensione di ciò che ci è lontano, nello spazio e/o nel tempo. La traduzione è l’opposto del “politicamente corretto” che va di moda oggi.
Tradurre è capire bene il testo, non necessariamente approvare quanto dice.
Così lettura dopo lettura, ho capito che il mio amore per questa storia esiste, non malgrado la mentalità maschilista di Odisseo e di Telemaco e di tutti gli altri, ma proprio perché narra questa loro mentalità! Lettura dopo lettura emergeva per me un’Odissea rivelatrice: il conflitto delle mentalità disegna per il nostro presente una prospettiva più ampia. Il nostro modo di pensare, i nostri valori non esistono da sempre, ma sono il prodotto di una lunga e complessa vicenda, di cui l’Odissea è l’avvio e il nostro pensiero la fase attuale.
La pari dignità di uomini e donne è in fondo un’idea assai singolare, molto recente, molto originale e poco diffusa geograficamente. È un pensiero, anzi un valore, coltivato nella cultura occidentale. Le nostre leggi registrano la fine del maschilismo, il sorgere di una mentalità diversa. Ma sono ovunque, in Occidente, leggi molto recenti. La mentalità della prevaricazione dei maschi sulle femmine non è morta né presso di noi, dove almeno è discussa, né nel resto del mondo dove alle donne è imposta una dura segregazione.
Tradurre Omero, dunque, evitando l’equivoco dell’ “attualizzazione”, tradurlo per quello che è (ed è molto, ed è sempre straordinario), tradurlo è esercizio di comprensione, e contemporaneamente è anche scoperta di noi stessi, della nostra originalità, maturata in una lunga vicenda di mille sofferenze femminili, che accumulate e stratificate una sull’altra rivendicano oggi il loro diritto ad essere riconosciute.
Che carogna Ulisse con Penelope! Disegnate la mappa mentale del brano.
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