Cosa pensano i russi della guerra in Ucraina. La miscela di narrativa ufficiale e di convinzioni radicate nella collettività per ora sembra garantire la tenuta del sistema di Putin. Attendiamoci un ulteriore allontanamento dall’Occidente, percepito come il vero colpevole del conflitto e determinato a piegare Mosca.
Inchiesta di Orietta Moscatelli, pubblicata su LimesOnLine il 14 marzo 2022. Su ItalianaContemporanea questo testo è rubricato nella pagina “Ucraina“.
Quasi il 70% approva la “operazione militare speciale” in Ucraina. Anzi no, la approva il 59%, ma la percentuale cala costantemente. O forse invece aumenta.
Stabilire cosa pensano i russi della guerra con l’Occidente combattuta in Ucraina è impresa ardua e a serio rischio di fallimento. Affiancando i sondaggi ufficiali e altri ufficiosi realizzati da gruppi più o meno indipendenti emerge un quadro fluido, con molte zone d’ombra, per niente monolitico. Le dinamiche sul teatro bellico e gli effetti delle sanzioni determineranno ulteriori evoluzioni, ma alcuni aspetti sono già evidenti e difficilmente saranno invertiti a breve termine.
L’intervento militare voluto dal Cremlino divide lungo faglie generazionali, di censo e di senso, di appartenenza politica o di pensiero. La narrativa del regime che censura l’esistenza di una guerra in corso viene recepita da una buona parte della popolazione, sia perché efficacemente trasmessa dai media ufficiali, sia perché incontra un bisogno profondo di credere che le bombe russe cadano in Ucraina per una giusta causa.
Un fattore difficile da indagare, ma ricorrente negli argomenti contro la guerra, è il concetto di popolo ucraino “fratello”, condiviso da oltre la metà dei russi. Pur indebolito dalle tensioni degli ultimi otto anni, questo sentimento è alla base della censura, dell’obliterazione mediatica della parola “guerra”, sostituita dalla formula “operazione militare speciale” o “di mantenimento della pace” e accompagnata da pesanti sanzioni e dall’oscuramento dei canali informativi non disposti a adeguarsi.
La miscela di narrativa ufficiale e di convinzioni radicate nella collettività russa per ora sembra garantire la tenuta del sistema. Certamente promette un ulteriore allontanamento da un Occidente percepito come il vero colpevole del conflitto e determinato a piegare la Russia, indipendentemente dalle imprese militari in corso. Una cesura che durerà nel tempo.
Per quanto riguarda le opinioni dei russi sulla guerra, i sondaggi ufficiali non si discostano molto dagli indipendenti. Secondo il Centro panrusso per lo studio dell’opinione pubblica (Vciom), vicino al governo, cinque giorni dopo l’invasione dell’Ucraina il 68% dei consultati approvava l’impresa e solo un 22% si diceva contrario. Per un russo su cinque l’obiettivo primario è evitare l’installazione di basi Nato nella repubblica ex sovietica; una percentuale analoga sottoscrive la necessità di difendere la popolazione delle Repubbliche popolari di Donec’k e Luhansk dopo il riconoscimento da parte della Federazione russa.
Solo il 7% pensa alla “denazificazione” dell’Ucraina, obiettivo poi scomparso anche dalla lista dei desiderata dei vertici russi. Un sondaggio realizzato dal Fom, a sua volta attento alle posizioni governative, fissa al 71%, in crescita, l’approvazione dell’operato del presidente Vladimir Putin. Registra inoltre che l’operazione militare (definita anche guerra, attacco, invasione) è per il 77% dei russi l’evento più importante del momento, mentre un 3 % cita come tale le sanzioni. Anche in questo caso, il sondaggio è stato confezionato con l’esercito russo in Ucraina da pochi giorni. Rilevamenti realizzati da società e gruppi indipendenti mettono l’accento sulla possibilità che le risposte siano influenzate dal timore di rappresaglie e anche dal tipo di domande poste dallo Vciom.
Per tutti, il sostegno all’impresa putiniana cresce con l’età: nove su dieci oltre i 70 anni, cinque su 10 sotto i 30 anni. Soprattutto, fanno notare gli autori dell’interessante progetto demoscopico Dorussianswantwar.com, il 72% di chi approva dice di informarsi tramite i media ufficiali, che di guerra non parlano, ma di olocausto nel Donbass sì. Detto questo, anche questo gruppo di indipendenti, dichiaratamente contrario alla guerra, registra un 59% favorevole all’intervento militare.
Nella complessa battaglia per i cuori e le menti dell’elettorato russo, Mosca, San Pietroburgo e una manciata di grandi città si confermano storia a parte. Le proteste che vanno in scena nel fine settimana, con migliaia di manifestanti e centinaia di arresti, sono popolate di giovani e giovanissimi, che ai sondaggisti rivelano una loro particolare aspirazione: espatriare. È vero che il tema non è nuovo.
Ancora lo scorso giugno, un russo su cinque dichiarava al Centro Levada il proprio desiderio di lasciare la Russia, motivandolo con fattori economici (il 44%) e citando tra i motivi la repressione delle libertà individuali (33%). I giovani delle grandi città, rampolli di una classe media tetanizzata dalla stagnazione economica degli ultimi 15 anni e ora dalla guerra, rappresentano quasi la metà di quanti vorrebbero varcare la frontiera. Chi può permetterselo ora parte davvero.
Le conseguenze delle sanzioni varate da Usa, Ue e tutto il blocco occidentale allargato si candidano a essere il fattore di maggiore peso nell’evoluzione di questo quadro, a pari merito con il timore di grosse perdite umane nella guerra.
La grande paura è quella di ritrovarsi senza un reddito; non è un timore infondato. Dei 72 milioni di persone che compongono la forza lavoro russa, circa 32 sono dipendenti statali e in qualche modo se la caveranno. Altri 10-12 milioni sono dipendenti di piccole e medie imprese e qui il gioco si fa più duro: gli analisti ipotizzano sino a 40mila società in bancarotta a breve. Professionisti e autonomi vari arrivano a 28 milioni di unità, con poche garanzie, se non nessuna, dallo Stato. Trasversale infine il comparto del commercio, che con l’indotto convoglia il 20% della forza lavoro e deve temere il peggio.
Se è vero che la corsa alla sostituzione delle importazioni occidentali iniziata nel 2014adesso accelera con intensa regia governativa, chi lavora con i paesi che aderiscono alle sanzioni deve quantomeno ricominciare da capo. In attesa di sondaggi specifici sull’argomento, nessuno nega che gli effetti della guerra sanzionatoria saranno devastanti per l’economia russa. C’è però chi mette in dubbio l’obiettivo numero uno con cui vengono varate, quello di indebolire il sistema putiniano e convincere i russi a voltare le spalle al presidente, ora più che mai comandante in capo delle Forze armate.
Le argomentazioni variano. Fa notare ad esempio l’analista Dmitri Oreškin che “circa la metà dei russi ha ricevuto un’educazione di stampo sovietico ed è abituata sia a stringere la cinghia che a recepire acriticamente come realtà quanto viene raccontato dalle autorità”. Oleg Kašin, giornalista sempre fuori dal coro e oggi contro il Cremlino, sostiene su piattaforme russe accessibili dall’estero che le sanzioni colpiranno innanzitutto i semplici cittadini, non gli oligarchi. E daranno a Putin la possibilità di ricompattare un’opinione pubblica rincorsa dallo spettro del ritorno dei ‘maledetti anni Novanta’: inflazione galoppante, disoccupazione, improponibili tassi sui prestiti, difficoltà a reperire beni di prima necessità. Dietro l’incubo di riprecipitare in quel baratro, la mano dell’Occidente che vuole soffocare la Russia.
“Putin ha scommesso il tutto per tutto e ha perso, ma le pressioni occidentali, non tanto sullo stesso Putin quanto sulla società russa, gli danno una possibilità di rivincita. Ora la sua prospettiva politica non dipende da eventuali successi sul fronte ucraino quanto dalle scelte di un Occidente che ha deciso, pare, di distribuire il principio di responsabilità collettiva su tutti i russi”, scrive Kašin, proponendo il Nobel per chi saprà fermare Vladimir Vladimirovič.
Gli anni Novanta, diventati simbolo di tutto quello che i russi non vorrebbero mai più rivedere, si chiusero con l’arrivo di Putin al Cremlino. Oggi lo stesso presidente deve assicurare e rassicurare che lo Stato saprà tenere la barra diritta e contenere i danni. E che le difficoltà sono e saranno comunque frutto del disegno occidentale di strangolamento della Russia, con o senza guerra in Ucraina.
Convinzione che Putin condivide da tempo pubblicamente, ripetendo che Stati Uniti ed europei “troveranno un modo per lanciare nuove sanzioni contro di noi. Indipendente da cosa faremo”.
Guida alla lettura
- Il testo cita come sue fonti tre società di sondaggi, due governative e una autorizzata: quali sono? raccogliete qualche info su questi tre istituti.
- Il testo cita anche come sue fonti due persone Dmitri Oreškin e Oleg Kašin: chi sono e cosa fanno.
- Da notare che il testo cita dei dati, ma non cita la fonte da cui li trae: quali dati?
- Il testo è di 1.226 parole. Fatene un riassunto di 400 parole.