La vigilia di Natale 2022 se ne andò Elena Gianini Belotti. Aveva l’età di mia madre. Era nata nel 1929. Scrisse un saggio memorabile: Dalla parte delle bambine. Guardate la nitidezza del sottotitolo: L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita. Avevo 19 anni quando mi capitò in mano. Lo lessi d’un fiato. La mia infanzia era ancora vicina e il saggio di Elena Gianini Belotti mi diede la chiave per comprendere cosa mi era accaduto. Avevo un ricordo sofferto della scuola infantile e poi dei primi anni di scuola elementare. Una bambina esuberante, sempre troppo spettinata, troppo sporca, troppo in disordine, sempre (troppo) rimproverata dalle maestre.
La lettura del saggio di Elena Gianini Belotti mi regalò anche la piena coscienza della rete di protezione che mia madre mi aveva steso intorno. Nella primissima infanzia di cui non ho memoria, mia madre mi educò alla libertà personale, e fece sì che, nonostante le idee del mondo, potessi dare espressione alla mie inclinazioni e alle mie scelte, nel modo più libero possibile. Ecco perché col mondo mi scontrai. Ma non ne fui sconfitta! Grazie, mamma! e grazie Elena Gianini Belotti!
«le leggi che regolano l’influenza delle circostanze sul carattere. È d’uopo possedere la più approfondita cognizione delle leggi della formazione del carattere per aver diritto di affermare che v’ha una differenza ed a più forte ragione per dire qual è la differenza che distingue i due sessi dal punto di vista intellettuale e morale». Leggi di più
Oltre ad analizzare le influenze educative, Mill indica la via più semplice e sicura per giungere a una conoscenza della donna che non sia, come spesso è, il riflesso della visione che l’uomo ha di lei: cioè quella di chiederlo direttamente all’interessata. Ma acutamente osserva che condizione essenziale perché la donna accetti di parlare di sé, di descriversi, di esporsi è che non si senta subordinata ma uguale. Non può esistere un colloquio autentico tra persone che stiano tra loro in posizione da dominante a dominato, occorre che si sentano pari. Così anche l’uomo, per ascoltare quello che la donna ha da dire su se stessa, deve sentirla uguale a sé. Ma se l’uomo avesse voglia di ascoltare quello che le donne hanno da dire su se stesse, gran parte dei problemi tra i sessi sarebbe già risolta, cosa che è ben lontana dall’essere vera.
Ogni donna che si propone di parlare di sé e della sua collocazione nella propria cultura può raccontare la sua storia di bambina, di adolescente, di ragazza e la storia di ciò che ritiene di aver subito a causa del suo sesso, ma per quanto indietro spinga il suo ricordo, scoprirà che c’è sempre una zona oscura, la primissima infanzia, sulla quale non sa dire niente e che è la matrice delle sue successive difficoltà. A tre, quattro anni, quanto lontano cioè può spingersi il ricordo di un individuo, tutto è già compiuto nel suo destino legato al sesso cui appartiene, perché in quel periodo non c’è lotta cosciente contro l’oppressione.
Le radici della nostra individualità sono profonde e ci sfuggono perché non ci appartengono, altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa. La bambina che a quattro anni contempla estatica la propria immagine allo specchio, è già condizionata a questa contemplazione dai quattro anni precedenti, più nove mesi in cui è stata attesa e durante i quali si approntavano gli strumenti atti a fare di lei una femmina il più possibile simile a tutte le altre.
La cultura alla quale apparteniamo, come ogni altra cultura, si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere. L’obiettivo dell’identificazione di un bambino col sesso cui è stato assegnato si raggiunge molto presto, e non ci sono elementi per dedurre che questo complesso fenomeno abbia radici biologiche.
[…] Nonostante i fattori ormonici e genetici l’educazione a considerarsi maschio o femmina è l’elemento determinante dell’identificazione sessuale. I risultati delle ricerche a proposito di fanciulli il cui sviluppo sessuale è manchevole lasciano intendere che l’identificazione con l’uno o con l’altro sesso e l’as-sunzione di un determinato ruolo sessuale avviene essenzialmente attraverso l’apprendimento.
Il libro nasce dall’osservazione diretta del bambino dalla nascita in poi e analizza il comportamento degli adulti nei suoi riguardi, i rapporti che stabiliscono con lui nelle varie età, il tipo di richieste che gli vengono fatte e il modo in cui gli si pongono, le aspettative di cui si carica il fatto che appartenga a un sesso piuttosto che a un altro, gli sforzi che fa per adeguarsi a queste richieste e aspettative, le gratificazioni e i rifiuti che riceve a seconda che vi aderisca o meno. I luoghi dove questa ricerca è stata condotta sono la famiglia, i nidi, le scuole materne, elementari e medie.
Finché le origini innate di certi comportamenti differenziati secondo il sesso restano un’ipotesi, l’ipotesi opposta che siano invece frutto dei condizionamenti sociali e culturali cui i bambini vengono sottoposti fin dalla nascita rimane altrettanto valida. Mentre però né la biologia né la psicologia sono in grado di dirci che cosa è innato e che cosa è appreso, l’antropologia ci ha dato precise risposte che appoggiano quest’ultima tesi. Ammesso anche che ve ne siano, non è in potere di nessuno modificare le eventuali cause biologiche innate, ma può essere in nostro potere modificare le evidenti cause sociali e culturali delle differenze tra i sessi; prima di tentare di cambiarle, è però necessario conoscerle. Scopriremo la loro genesi in piccoli gesti quotidiani che ci sono tanto abituali da passare inosservati; in reazioni automatiche di cui ci sfuggono le origini e gli scopi e che ripetiamo senza aver coscienza del loro significato perché li abbiamo interiorizzati nel processo educativo; in pregiudizi che non reggono alla ragione né ai tempi mutati ma che pure continuiamo a considerare verità intoccabili; nel costume che ha codici e regole rigidissime. Spezzare la catena di condizionamenti che si trasmette pressoché immutata da una generazione all’altra non è semplice, ma ci sono momenti storici in cui simili opera-zioni possono risultare più facili che in altri. Come oggi, quando tutti i valori della società sono in crisi e tra questi il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile.
La tradizionale superiorità degli adulti rispetto ai bambini sta scomparendo rapidamente parallelamente alla disintegrazione della superiorità maschile, della supremazia della razza bianca e del potere del capitale rispetto al lavoro.
La critica alle donne contenuta in quest’analisi non vuole essere un atto d’accusa, ma una spinta a prendere coscienza dei condizionamenti subiti e a non trasmetterli a loro volta, e contemporaneamente a rendersi conto che possono modificarli. L’operazione da compiere, che ci riguarda tutti ma soprattutto le donne perché ad esse è affidata l’educazione dei bambini, non è quella di tentare di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.
Per quanto ci si metta dalla parte delle bambine, è chiaro che non sono soltanto le bambine le vittime di un condizionamento negativo in funzione del loro sesso.
Secondo Margaret Mead:
«Tutte le discussioni sullo stato delle donne, sul carattere, il temperamento delle donne, sulla sottomissione e l’emancipa-zione delle donne fanno perdere di vista il fatto fondamentale e cioè che le parti dei due sessi sono concepite secondo la trama culturale che sta alla base dei rapporti umani e che il bambino che cresce è modellato altrettanto inesorabilmente come la bambina secondo un canone particolare e ben definito».
Che cosa può trarre di positivo un maschio dalla arrogante presunzione di appartenere a una casta superiore soltanto perché è nato maschio? La sua è una mutilazione altrettanto catastrofica di quella della bambina persuasa della sua inferiorità per il fatto stesso di appartenere al suo sesso. Il suo sviluppo come individuo ne viene deformato e la sua personalità impoverita, a scapito della loro vita in comune.
Nessuno può dire quante energie, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini d’ambo i sessi negli schemi maschile-femminile così come sono concepiti dalla nostra cultura, nessuno ci saprà mai dire che cosa avrebbe potuto diventare una bambina se non avesse trovato sul cammino del suo sviluppo tanti insormontabili ostacoli posti lì esclusivamente a causa del suo sesso.
La parità di diritti con l’uomo, la parità salariale, l’accesso a tutte le carriere sono obiettivi sacrosanti e, almeno sulla carta, sono già stati offerti alle donne nel momento in cui l’uomo l’ha giudicato conveniente. Resteranno però inaccessibili alla maggior parte di loro finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di desiderare fortemente di farli propri. Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna. Il bisogno di realizzare se stesse come individui, l’autoaffermazione, il desiderio di autonomia e di indipendenza la cui mancanza si rimprovera alle donne, nell’adolescenza, al momento delle scelte fondamentali, hanno già subito dure scosse: e questo è avvenuto fin dalla primissima infanzia.