Declino e ristagno tecnologico

Declino e ristagno tecnologico. Dagli anni Novanta del secolo scorso la provincia del Verbano Cusio Ossola soffre per un processo di deindustrializzazione.che sembra inarrestabile, nonostante le iniziative di contrasto. L’autore di questo testo affronta il problema del declino industriale in modo originale: non gli interessa l’approccio socio-economico, sviluppa invece un’analisi sul rapporto tra sviluppo e innovazione tecnologica.

Declino e ristagno tecnologico

Declino e ristagno tecnologico. Il testo è un estratto del saggio che si trova su complitex.org. L’autore è Angelo Bonomi, che lo pubblicò nel 2011 sulla rivista Cobianchi. La parte dedicata alla ricostruzione storica dello sviluppo industriale del VCO è un paragrafo del saggio citato, ed è pubblicata anche su ItalianaContemporanea nel “filo” di nov-dic 2024 “Resta un’alta ciminiera”.

Le cause del declino industriale

Per il declino industriale del VCO si possono trovare cause comuni e cause specifiche per i vari settori industriali. Ci si limita qui a considerare i settori più importanti che sono stati l’industria della filatura del cotone, la grande industria chimica e metallurgica e il settore del casalingo, discutendo poi alcuni aspetti più generali che hanno influenzato negativamente le industrie del territorio. Come abbiamo già annunciato nell’introduzione, esamineremo le cause tenendo conto in particolare degli aspetti tecnologici che ne hanno influenzato il declino.

Una delle cause importanti che hanno contribuito alla scomparsa dell’industria della filatura del cotone è stata sicuramente il trasferimento di questa attività in paesi con costi di manodopera inferiori e altri vantaggi di disponibilità di materie prime o altro. Nonostante il carattere pionieristico di questo tipo di industria nel Verbano, essa non raggiunse mai l’efficienza di questo tipo di industria esistente nell’ottocento in paesi industrialmente più avanzati come la Francia e la Gran Bretagna. D’altra parte questo tipo di industria non riuscì a darsi una diversificazione efficace, ne ad esempio generare attività di costruzione di macchine per la filatura per compensare la perdita di attività di produzione. Una simile evoluzione è avvenuta anche per un’industria verbanese minore nella produzione di cappelli che subì una contrazione dovuta a una forte riduzione del mercato del tradizionale cappello di feltro e dove l’ultima industria esistente, la Giovanni Panizza & C, venne chiusa definitivamente nel 1981.

Per quello che riguarda l’industria dipendente all’origine dall’energia idroelettrica e diffusa soprattutto nell’Ossola, i problemi sono nati a causa delle piccole dimensioni delle centrali che non permettevano di aumentare adeguatamente le capacità di produzioni di certi tipi di prodotti come l’ammoniaca presso la Rumianca o le ferroleghe a Domodossola e ridurre i costi unitari a livelli accettabili per il mercato. A questi si sono poi aggiunti altri fattori come: la sostituzione dell’acetilene da carburo di calcio con etilene di produzione petrolifera e di tutta la estesa chimica di derivati di questo che ha provocato la chiusura dell’impianto di Villadossola mentre gli impianti di filatura del rayon e del nylon di Pallanza venivano trasferiti verso altre regioni economicamente più favorevoli. La stessa sorte è poi toccata recentemente anche alla produzione di acetato di cellulosa dello stesso stabilimento per le stesse ragioni e per la riduzione della domanda di acetato per film fotografici non più usati nella fotografia digitale. 

Un discorso a parte merita l’attività siderurgica dove chiusura e ridimensionamento hanno avuto varie cause spesso legate all’assenza degli investimenti necessari per il rinnovamento tecnologico degli impianti. Questo è stato il caso dell’acciaieria Cobianchi, e in seguito Pietra, di Omegna dove l’assenza di un forno di alta potenza e di un impianto di colata continua dell’acciaio ne ha condannato la sorte. Similmente la mancanza di fondi per ricostruire le centrali idroelettriche della SISMA di Villadossola distrutte da un’alluvione unitamente alla mancata trasformazione dei suoi forni elettrici verso un’alta potenza di fusione, ne ha causato l’abbandono e il ridimensionamento dell’impianto ai soli laminatoi anch’essi tuttora in difficoltà. 

Infine una nota a parte merita l’acciaieria Ceretti di Pallanzeno per la quale negli anni settanta erano stati fatti degli investimenti adottando una nuova tecnologia di preriscaldo del rottame con i fumi del forno. Un’esplosione causata dalla presenza incontrollabile di materiale pericoloso nel rottame causò la distruzione del forno che non venne più ricostruito ridimensionando anche questo stabilimento ai soli laminatoi.

L’attività cusiana del casalingo si è sviluppata nel dopoguerra fino agli anni settanta entrando poi in una crisi di declino che perdura fino ad ora. Terminato l’impatto positivo dell’innovazione tecnologica che ne ha permesso lo sviluppo, questa industria non ha saputo, salvo qualche eccezione, sostenere i risultati acquisiti con un opportuno supporto manageriale. Certo vi sono esempi riusciti come nel caso dell’Alessi che ha sviluppato l’aspetto design del casalingo o qualche altro ancora che ha trovato delle nicchie di mercato interessanti, ma nell’insieme si deve notare come alcune grandi imprese cusiane siano state alla fine costrette alla cessione a imprenditori esterni al territorio e in qualche caso poi chiuse definitivamente.

Uno studio effettuato nel 1984 dalla Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, commissionato dalla Provincia di Novara, che allora amministrava il territorio del VCO, ha illuminato molte cause del declino, non solo del casalingo ma anche di altri settori industriali. Questo studio che, a differenza di altri studi posteriori, era basato su un gran numero di interviste presso il tessuto industriale del territorio piuttosto che sulla discussione di dati statistici, aveva evidenziato come nel casalingo vi fossero gravi carenze di capacità manageriali caratterizzate da un’attività di imitazione delle aziende leader piuttosto che da innovazione. Questa ridotta capacità manageriale appariva nettamente dai risultati dello studio che allo stesso tempo si occupava anche della crisi della rubinetteria del basso Cusio la cui capacità manageriale era giudicata nettamente superiore e che ora, dopo oltre 25 anni, si può ben vedere nella differenza nell’evoluzione di queste industrie. In altre parole uno dei principali problemi del casalingo cusiano è stata la mancata evoluzione della mentalità da un’attività artigianale a un’attività industriale. Infine lo studio notava come l’arrivo sul territorio di grandi industrie, gestite però esternamente al territorio, abbia inibito lo sviluppo di imprenditorialità nella popolazione che ha preferito i sicuri guadagni in fabbrica ai rischi di un’impresa propria.

Guida alla lettura

Declino e ristagno tecnologico. Esercizi di comprensione del testo

  1. Suddivideete il testo in paragrafi, dando a ciascuno un titolo. Se lavorate bene, otterrete già la scaletta del testo.
  2. Elencate con precisione tutte le cause citate della crisi dei vari settori che sono nominati (nell’ordine: settore tessile, elettrico, chimico, siderurgico, casalingo)
  3. Evidenziate infine i problemi che l’indagine della SDA Bocconi mette in luce.

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