Donne ch’avete. Materia nobile per la poesia non è la sofferenza di chi ama, alla maniera di Guido Cavalcanti, ma l’elogio della donna amata, delle sue qualità morali, della suo potere salvifico, come già era nella poesia di un altro Guido, Guinizelli il notaio di Bologna. Nella forma più nobile di tutte: la canzone.
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Ammonito dalle donne gentili, cui ha chiesto consiglio, Dante comprende che il disinteresse di Beatrice verso di lui deriva da un suo errore: la sua poesia, attardandosi attorno a motivi convenzionali, come la donna schermo, o tipicamente cavalcantiani, come il tormento d’amore, non rende l’onore dovuto alla donna amata, che di questo appunto si duole.
Donne ch’avete. Parafrasi di F.Cremascoli
Dante si rende conto che ha scelto un’alta materia, forse troppo alta per lui, tanto che per parecchio tempo prova desiderio di dire, ma non osa cominciare. Finché un giorno presso «uno rivo chiaro molto» la lingua trova finalmente le parole che amore va dicendo al suo animo: una materia rinnovata, la «lode», ed un nuovo pubblico, quello delle donne che hanno «intelletto d’Amore».
Che da questo momento in avanti Dante ritenga di inaugurare una nuova poesia, è certo. Nella Commedia proprio la canzone “Donne ch’avete intelletto d’Amore” è ricordata nel Purgatorio da un poeta di Lucca, Bonagiunta Orbicciani, Nel XXIV canto Dante incontra questo poeta lucchese che ricorda questa canzone come quella che inaugura «le nove rime» cioè il nuovo stile poetico che definisce «dolce stil novo». Di questa canzone Dante poi parla anche nel De Vulgari Eloquentia, citandola come esempio di testo solenne, perché scritta solo in endecasillabi, con stanze di due piedi identici (ABBC) e sirima bipartita collegata dalle rime-chiave (CDD, CEE).
Alla canzone Donne ch’avete Dante attribuisce la funzione di presentare per la prima volta compiutamente i motivi della poesia della lode. Tra i motivi topici della lirica cortese sono scelti quelli che celebrano non tanto la bellezza dell’amata, ma le sue qualità morali, così elevate da consentire che gli angeli e i beati la riconoscano simile a loro. Oggetto del discorso non è tanto la corrispondenza della donna ai sentimenti dell’amante, ma piuttosto il suo potere di salvazione su tutti gli uomini che la guardano e sono capaci di comprenderne l’altezza morale.
La solennità dell’elogio è espressa anche dalla struttura retorica della canzone che è divisa in tre parti: un esordio (la prima strofa), una parte centrale (seconda, terza e quarta strof.) ed una conclusione (la quinta strofa).
Nell’esordio e nella conclusione il poeta delinea il pubblico scelto cui intende rivolgere la propria poesia e ne dichiara le caratteristiche formali di “dolcezza”. Dante dichiara di volersi rivolgere alle donne, non a tutte, a quelle che hanno “intelletto d’amore”, che capiscono cioè Amore. Le donne sono metafora di un pubblico laico, colto, contrapposto alla gente villana. Il poeta rifiuta ormai lo stile “aspro” e difficile dei trovatori provenzali (trobar clus), e definisce lo stile “dolce” come peculiarità della poesia della lode .
Vita nova, cap.XIX
Avvenne poi che passando per uno cammino lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse (cominciai a pensare al modo da seguire); e pensai che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona (e pensai che non era giusto parlare di lei, se non rivolgendomi alle donne e facendo parlare per me un intermediario), e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili e che non sono pure femmine (femmine solo per natura) . Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa, e disse: «Donne ch’avete intelletto d’amore». Queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento; onde poi, ritornato a la sopradetta cittade (tornato in città, cioè a Firenze), pensando alquanti die, cominciai una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione. La canzone comincia: «Donne ch’avete»
Questa canzone, acciò che (affinché) sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l’altre cose di sopra. E però (perciò) prima ne fo tre parti: la prima parte è proemio de le sequenti parole (dei versi successivi); la seconda è lo intento trattato (l’argomento svolto); la terza è quasi una serviziale (è quasi una parte di servizio, cioè funzionale alle altre) de le precedenti parole. La seconda comincia quivi: «Angelo clama» ; la terza quivi: «Canzone, io so che» . La prima parte si divide in quattro: ne la prima dico a cu’ (a chi) io dicer voglio de la mia donna, e perché io voglio dire; ne la seconda dico quale me pare avere a me stesso (come mi pare di sentirmi) quand’io penso lo suo valore, e com’io direi s’io non perdessi l’ardimento; ne la terza dico come credo (come mi propongo) dire di lei, acciò ch’io non sia impedito da viltà; ne la quarta, ridicendo anche a cui ne intenda dire, dico la cagione per che dico a loro. La seconda comincia quivi: «Io dico» ; la terza quivi: «E io non vo’ parlar»; la quarta: «donne e donzelle». Poscia quando dico: «Angelo clama», comincio a trattare di questa donna. E dividesi questa parte in due: ne la prima dico che di lei si comprende in cielo; ne la seconda dico che di lei si comprende in terra, quivi: Madonna è disiata. Questa seconda parte si divide in due; che ne la prima dico di lei quanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, narrando alquanto de le sue vertudi effettive che de la sua anima procedeano; ne la seconda dico di lei quanto da la parte de la nobilitade del suo corpo, narrando alquanto de le sue bellezze, quivi: «Dice di lei Amor». Questa seconda parte si divide in due; che ne la prima dico d’alquante bellezze che sono secondo tutta la persona; ne la seconda dico d’alquante bellezze che sono secondo diterminata parte de la persona, quivi: «De li occhi suoi» . Questa seconda parte si divide in due; che ne l’una dico degli occhi, li quali sono principio d’amore; ne la seconda dico de la bocca, la quale è fine d’amore. E acciò che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci legge, che di sopra è scritto che lo saluto di questa donna, lo quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine de li miei desiderii mentre ch’io lo potei ricevere. Poscia quando dico: «Canzone, io so che tu», aggiungo una stanza quasi come ancella de l’altre, ne la quale dico quello che di questa mia canzone desidero; e però che questa ultima parte è lieve a intendere, non mi travaglio di più divisioni. Dico bene che, a più aprire lo intendimento di questa canzone, si converrebbe usare di più minute di visioni; ma tuttavia chi non è di tanto ingegno che per queste che sono fatte la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare, ché certo io temo d’avere a troppi comunicato’ lo suo intendimento pur per queste divisioni che fatte sono, s’elli avvenisse che molti le potessero audire.