Umberto Eco. La biblioteca del mondo. Stanze, corridoi, saloni. Umberto Eco nella sua biblioteca privata. Davide Ferrario ricostruisce il rapporto del professore con i libri, grazie alla collaborazione di famigliari e amici, ma soprattutto facendo parlare il protagonista, caustico, pungente, profondo: «L’insieme delle biblioteche è l’insieme della memoria dell’umanità. Senza memoria non si progetta nessun futuro». Umberto Eco. La biblioteca del mondo, nelle sale da giovedì 2 marzo 2023, è un film di
Davide Ferrario, qui intervistato su BellvilleNews in data 8 novembre 2022.
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Come è nata l’idea di un film sulla biblioteca di Umberto Eco?
C’è un antefatto accaduto nel 2015, un anno prima della sua morte. Vincenzo Trione, allora direttore del Padiglione Italia della Biennale d’Arte di Venezia, mi chiese di realizzare con Eco una videoinstallazione sul tema della memoria, composta da un’intervista filmata e da un lavoro di montaggio, divisa in tre parti. Fu così che incontrai “il professore”. Filmammo l’intervista nel salotto della sua casa di Milano. Alla fine, ci mettemmo a chiacchierare informalmente e lui mi chiese se volevo vedere la sua biblioteca. Ovviamente accettai e il sentimento misto di sorpresa e ammirazione che ne ricavai è quello che – credo – si comunica allo spettatore nella sequenza iniziale del film, quando seguiamo Eco in quel labirinto di libri. Non resistetti alla tentazione e gli chiesi subito se era disposto a rifare quella camminata per la macchina da presa. La mia impressione è che fino ad allora si fosse abbastanza divertito, con noi; e non disse di no. Specificai anche che sarebbe stato bellissimo, per quanto incongruo, che facesse il percorso più lungo e andasse a cercare il libro più lontano… Si assoggettò di buon grado. Ne venne fuori una sequenza iconica – con un risvolto triste. Perché quando qualche mese dopo il professore morì, le tv di tutto il mondo usarono quelle immagini per descrivere lui e il suo rapporto coi libri. La scomparsa di Eco fu anche la fine di qualche pensiero che avevamo cominciato a scambiarci sulla possibilità di una collaborazione. Passarono gli anni e un giornalista spagnolo, che faceva un pezzo sulle biblioteche dei grandi scrittori, mi chiese di parlargli di quella di Eco. Questo rimise in moto i contatti con la famiglia, che mi disse che la biblioteca sarebbe probabilmente stata ceduta allo Stato e che sarebbe loro piaciuto avere una testimonianza visiva della casa con i libri. Da una conversazione all’altra, venne fuori il progetto minimo di documentare la biblioteca prima che traslocasse. E poi l’idea si allargò a quello che è il film adesso.
Vale a dire?
Non solo la testimonianza di cos’era la biblioteca in senso pratico, ma una riflessione sull’idea stessa di biblioteca come memoria del mondo, secondo una formula cara a Eco. Ecco perché il film si espande anche in incursioni in alcune biblioteche sparse per i continenti, antiche e moderne, che sono dei luoghi magici e affascinanti. Non solo: usando i libri della biblioteca privata di Eco come una sorta di filo rosso, il film è anche un omaggio a lui come intellettuale e scrittore. In realtà, non si può pensare a Eco senza la sua biblioteca. Quello era il mondo dentro il quale si formavano le idee, le tesi e le storie che poi prendevano forma nei suoi libri.
Nel film traspare un rapporto particolare con i vari membri della famiglia…
È un’osservazione che apprezzo e un po’ mi fa sorridere, se ripenso a come abbiamo iniziato a pensare al film – e cioè in maniera molto rigida e schematica, in cui ogni sezione della biblioteca doveva essere illustrata da un grande intellettuale amico di Eco. Sarebbe stato un film molto letterario, temo; e anche piuttosto noioso. Ho proposto che queste eventuali interviste ai Grandi Nomi fossero almeno filmate come conversazioni tra loro e i diretti interessati, per renderle meno ingessate. Da lì in poi qualcosa si è sciolto ed è diventato chiaro che non c’era nessuno meglio di chi viveva o aveva vissuto sotto lo stesso tetto della biblioteca per parlarne; e così non solo Renate, la consorte, e i figli; ma anche i nipoti, perfino la più piccola che – come si vede nel film – vive la biblioteca a modo suo, un gioco da bambina. L’importante era che, come viene detto, la biblioteca non fosse narrata solo come un deposito o un archivio, ma come una cosa viva.
Come avete lavorato col materiale d’archivio?
Intanto, avevamo questa lunga intervista inedita girata per la Biennale che, nella videoinstallazione, era stata usata solo in parte e che si è rivelata una fonte molto ricca. Poi siamo andati a cercare interviste, conferenze, dichiarazioni che non provassero a descrivere Eco in quanto pensatore universale, ma solo in relazione ai libri. Il che non era ridurne l’importanza, anzi: era proprio scoprire che la biblioteca era la forza propulsiva del suo pensiero. Abbiamo così riscoperto concetti magari espressi vent’anni fa ma che erano profetici. Per esempio, è formidabile la sua provocazione anti-internet, secondo cui, venendo meno una “enciclopedia comune”, esiste la possibilità che sei miliardi di utenti della rete credano in sei miliardi di verità private. Non siamo arrivati lì, ma il proliferare di verità per così dire auto-prodotte su ogni argomento è sotto gli occhi di tutti. Siamo vicini a una babele in cui sembra impossibile condividere l’idea stessa di realtà. Per non parlare della correlata fascinazione di Eco per il falso e per il potere del linguaggio, che “non è la capacità di dire ciò che c’è, ma ciò che non c’è”. Inoltre, Eco era un grande affabulatore, capace di tenere il palcoscenico – e quindi ho cercato di sfruttare questa sua capacità “attoriale”.
E poi ci sono i monologhi teatrali…
Beh, quella è un’idea che mi è venuta leggendo o rileggendo certi saggi di Eco sulla bibliofilia. Mi sono reso conto che, con qualche adattamento, potevano essere pensati come pezzi teatrali da recitare. Sono ironici e brillanti come sapeva esserlo la sua scrittura. Da qui l’idea di ritmare il film con questi interventi degli attori, che erano peraltro un’altra occasione di mostrare delle magnifiche biblioteche.
Un ruolo particolare lo ha la musica.
Anche qui c’è una storia da raccontare. C’è un pezzo di Carl Orff, Gassenhauer, che da sempre amo moltissimo. E, in una delle primissime fasi del montaggio, provai a usarlo su una sequenza di immagini di libri. Funzionava benissimo, così mi chiesi se per caso Orff avesse composto qualcos’altro di simile. E scoprii che Gassenhauer era solo la punta dell’iceberg. Proveniva da una raccolta di composizioni a sfondo didattico che erano state raccolte su disco soltanto una volta, negli anni ’90. Sono tre CD che offrono una incredibile varietà di composizioni e di sonorità. Ma c’era di più, una sorta di consonanza nell’utilizzarle in questo film. Perché in questi pezzi Orff mescolava due caratteristiche che sono anche tipiche dello stile letterario di Eco: l’erudizione e l’entertainment. È una musica molto sofisticata ma che ha anche un tono quasi fanciullesco, misterioso, incantatorio. Proprio come con le storie di Eco, senti che l’autore ha una cultura enorme ma che sa distillarla per ottenere risultati semplici e popolari. E poi, nella colonna sonora, ci sono anche tre brani contemporanei di Fabio Barovero, un autore con cui lavoro spesso.