Fabbrichini. Nella prima metà del Novecento, a Omegna, una piccola città italiana sul Lago d’Orta, è nato e cresciuto un distretto industriale straordinario. Negli anni Ottanta però una crisi devastante ha portato queste aziende a chiudere o comunque a ridimensionarsi.
La desolazione dei fabbrichini, cioè degli operai. Il presente attraverso lo spettacolo dell’archeologia industriale, affascinante e angosciante nello stesso tempo.
Su questo tema è l’intervista di Area, Il Portale di critica sociale e del lavoro a Matteo Severgnini che ha scritto la sceneggiatura di Moka Noir un bel film di Eric Bernasconi, datato 2019.
Matteo Severgnini, perché raccontare la realtà industriale di Omegna?
Nella mia vita professionale io scrivo storie e, a un certo punto, ho sentito il bisogno di narrare ciò che stava accadendo alla mia città. Avevo una storia in casa, insomma. Vedevo e vedo tuttora molta gente tirar sera per le vie di Omegna e ho cominciato a interrogarmi su questo fenomeno da imputare, ovviamente, alla crisi industriale, alla chiusura delle fabbriche del settore casalingo che hanno fatto la storia di Omegna e dell’Italia intera.
Qual è l’origine della fortuna industriale di Omegna?
Qui nell’Ottocento c’era poco o nulla. Anche l’agricoltura non era florida. C’erano soltanto alcune botteghe artigiane. Poi è nata la Calderoni, che produceva pentole, vassoi e posate. La scintilla che però ha fatto partire il polo industriale è stata l’invenzione della moka. Poi è arrivato il boom economico e ha fatto il resto.
Nel film si parla anche di conflitti sociali …
Sono stati ben presenti. Prima dell’arrivo dei sindacati in fabbrica, nel secondo dopoguerra, i padroni avevano un rapporto paternalistico con gli operai. Nel secondo dopoguerra, le organizzazioni dei lavoratori hanno cominciato a rappresentare le istanze dei lavoratori. Il sindacato all’interno della Lagostina era fortissimo, un modello persino per le fabbriche torinesi, ed è riuscito a ottenere conquiste che andavano ben oltre il salario. Un esempio in questo senso è stata la biblioteca di fabbrica. Il sindacato voleva che gli operai conoscessero una parola in più dei padroni. Il sindacato a Omegna non aveva soltanto un’idea di fabbrica, ma un’idea di società.
Come Omegna ha gestito la crisi?
Ci sono state diverse fasi di crisi nel corso dello scorso secolo. Poi c’è stata l’ultima crisi, quella iniziata nel 2007, quando, per tornare alla metafora del territorio-corpo, il medico legale ha decretato la morte di Omegna. Ho avuto l’impressione che gli omegnesi siano stati troppo passivi, hanno vissuto la crisi come qualcosa di ineluttabile, non c’è stata comunità d’un tempo attorno alle varie chiusure.
Sarebbe potuta andare diversamente?
Nel momento del boom tutti credevano che quella fase sarebbe durata in eterno e forse questo ha frenato un po’ l’innovazione. Alessi, nel corso della sua storia, è stata forse l’unica realtà che ha capito che occorreva diversificare la produzione e rivolgersi ad altre aree di mercato. Alessi, nonostante le difficoltà, è ancora viva e vegeta.
Che ruolo ha giocato la politica nella crisi?
Lo Stato ha sostenuto direttamente l’industria senza chiedere nulla in cambio, senza preoccuparsi di creare un legame vincolante e duraturo tra industria e territorio. Le aziende italiane hanno ricevuto un forte sostegno pubblico e poi sono fuggite all’estero, hanno delocalizzato.
Possiamo considerare Omegna uno dei tanti simboli del “rancore del Nord”?
Il rancore di cui parla il sociologo Bonomi è un fenomeno non solo omegnese o settentrionale ma di tutta la Penisola. Aggiungo che Omegna è sempre stata di sinistra, progressista. Oggi invece c’è un’amministrazione di destra. Qui tutti lavoravano in fabbrica, oggi c’è il vuoto: non c’è un progetto di città, Omegna non è né carne, né pesce, non ha un tessuto commerciale, non è una città turistica, nonostante si stia operando per andare in questa direzione.
La crisi di Omegna e dei siti industriali simili ha avuto conseguenze sul Ticino?
Non sono ferrato su questo tema d’attualità, ma è chiaro che la crisi del Settentrione d’Italia abbia creato una maggiore presenza di frontalieri nella Svizzera italiana. Omegna non è territorio di frontalieri, troppo lontana dal confine, ma nel Verbano e nell’Ossola ci sono molte persone che si recano quotidianamente in Ticino o nel Vallese a lavorare.
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Fabbrichini – Guida alla lettura
Questionario di comprensione. Rispondete a queste domande, in modo da essere certi di aver compreso bene il testo di partenza,
- La sviluppo di Omegna si deve a che cosa?
- La forza del sindacato. A cosa pone fine l’affermarsi del sindacato in fabbrica? In quale azienda è più forte il sindacato? a quale aspetto dell’azione sindacale l’intervistato dà maggiore importanza?
- La situazione dell’oggi. Alessi come unica azienda del casalingo ad aver mantenuto la sua posizione: perché?
- La crisi: quale la gestione che la politica ha dato? il giudizio dell’intervistato. Quale il comportamento della società civile? Che motivazioni ha?
- Il cambio di amministrazione : perché è un cambio storico? Esiste una visione della città?
- Cosa significa esattamente la parola “fabbrichini”?
- Cosa significa “rancore” del Nord?
E’ un’intervista interessante perché tocca i nervi scoperti della città. Era una città industriale con le caratteristiche ei conflitti tipici della società industriale. La crisi l’ha colta del tutto impreparata (forse si dovrebbe riflettere sulla mentalità di imprenditori e operai che negli anni Settanta riproponeva contenuti di cinquant’anni prima: inclusa la biblioteca di fabbrica) E che dire della politica? che sembra puntare sul turismo senza tener conto di molti aspetti: strade, connessioni, servizi ci collegamento,…)