Fuga dall’orrore

La fuga dall’orrore di Kabul. Duecento morti, paura per altri attacchi. L’evacuazione è terminata. Cronaca di Francesco Grignetti, LaStampa del 28 agosto 2021. In ItalianaContemporanea il testo è rubricato nella pagina Afghanistan. Vent’anni dopo


Il giorno dopo il doppio attentato suicida di Kabul, depositatasi la polvere, portato via il sangue dall’infame canale di scolo che corre lungo l’aeroporto, è leggermente più chiaro quel che è successo. Intanto è evidente che s’è trattato di attentati devastanti. Il kamikaze si è fatto esplodere accanto ai marines, all’Abbey Gate, dove la folla dei disperati in attesa di entrare nello scalo era più densa. E questo è il risultato: 13 marines morti, diversi feriti, 170 cittadini afghani uccisi nell’esplosione , altri 200 feriti in maniera più o meno grave. I taleban lo negano, ma sembra che almeno 28 miliziani siano morti nella seconda esplosione, quella davanti all’hotel Barron, pur messa in dubbio dal Pentagono. 

I freddi numeri non possono però raccontare l’orrore, il dolore, la rabbia di giovedì 26 agosto. Il giovedì più nero di Kabul. Forse, per capire quel che è successo, conta di più questa comunicazione che giunge dall’Afghanistan. «Tra i morti, 32 sono uomini, 3 donne, 3 bambini. Impossibile riconoscere l’identità delle altre 132 vittime». Significa che l’esplosione li ha letteralmente maciullati. 

Non sapremo mai quanti erano i bimbi. Di sicuro tantissimi, perché il kamikaze si è fatto esplodere tra le famiglie quando è stato abbastanza vicino ai soldati Usa. Ha finto anzi di essere un profugo, probabilmente con una donna al fianco per presentarsi come una famigliola inoffensiva. Tra le vittime c’è anche un bambino britannico assieme ai suoi genitori, ha reso noto il ministro degli Esteri Dominic Raab.Le immagini che il giorno dopo giungono dal canale di scolo gelano il cuore: si vedono borse, maglie, vestiti, povere cose mescolate con chiazze di sangue rappreso. In verità, la dinamica è ancora molto nebulosa. «Alle 17:40 ora di Kabul – è la versione del Pentagono – c’è stata l’esplosione di un kamikaze proprio fuori da Abbey Gate seguita da fuoco diretto. Sappiamo che c’era gente che sparava e uno con un giubbotto esplosivo». La deflagrazione sarebbe stata seguita dunque da un conflitto a fuoco. Il Pentagono, peraltro, non ritiene che «ci sia stata una seconda esplosione al Barron Hotel o nelle sue vicinanze». Pensano che sia stata una notizia generata dalla confusione del momento. Ma è anche vero che gli Stati Uniti a questo punto controllano esclusivamente quel che accade nel perimetro dell’aeroporto. 

Il Pentagono temeva l’attentato, lo aveva previsto, ma non è stato in grado di prevenirlo. Perché era impossibile. «I nostri soldati sono stati degli eroi», ha detto Joe Biden. Ed è vero. Sono andati a presidiare un cancello sapendo che era una missione suicida. Lo hanno fatto perché si sentivano in dovere di tenere aperto quel passaggio e di far passare la gente fino all’ultimo. Avrebbero potuto chiuderlo e abbandonare tutti al loro destino. Invece no. E così qualcuno è riuscito a salvarsi due giorni fa, qualcuno persino ieri. Giovedì in totale sono stati 89 i voli americani partiti da Kabul, circa 12.500 le persone evacuate, inclusi 300 cittadini americani. 

Il ponte aereo, a questo punto, si è praticamente concluso. Quasi tutte le nazioni hanno annunciato di aver finito. L’ambasciatore tedesco ha preso posto sull’ultimo aereo che partiva per la Germania con i soldati. Lo stesso dicasi per i francesi e gli spagnoli. Gli australiani l’avevano concluso qualche ora prima. 

Gli italiani hanno fatto il possibile e l’impossibile: vanno ringraziati il generale Luciano Portolano che ha gestito le operazioni dall’Italia, il generale Giuseppe Faraglia da lì, i carabinieri del Tuscania, il personale dell’Aeronautica, gli incursori. Dice Portolano: «Abbiamo evacuato e portato in soli 14 giorni, in condizioni difficili, 4.890 cittadini afghani, tra cui molte donne e bambini. Abbiamo fatto il massimo». C’è da credergli. 

Ma la gente di Kabul, ancora raccapricciata dalla barbara azione dell’Isis-K non ha abbandonato la speranza. E così, nonostante tutto, nonostante il sangue per terra, ieri mattina è ricominciato l’afflusso verso lo scalo. Centinaia di persone si sono di nuovo radunate in zona, per tentare di lasciare l’Afghanistan. Non tanto all’Abbey Gate, ma comunque nei pressi dello scalo. Lo testimoniano le immagini della rete tv Tolo News. 

Stavolta, però, i taleban, che lavorano a stretto contatto con gli americani, erano più presenti di prima e hanno tenuto tutti lontano. Decine di miliziani, vestiti con le divise che hanno razziato nei magazzini dell’esercito regolare, fermavano la gente a 500 metri di distanza dal muro. In ogni caso si è formata una certa folla, in attesa di chiamata. 

Il pericolo di nuovi attentati è grande. L’intelligence degli Stati Uniti afferma che sono previsti ulteriori tentativi di attentato prima della scadenza di martedì. Ma per gli Usa non c’è scelta. «Ci sono ancora circa 5.400 persone all’aeroporto di Kabul in attesa di essere evacuate», ha riconosciuto ieri il Pentagono. Persone che hanno il visto per gli Usa o per altri Paesi Nato. Intanto si dedicano anche al ripiegamento dei loro soldati e a distruggere i materiali sensibili nel perimetro aeroportuale.

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