I dannati all’inferno

I dannati all’inferno. La parafrasi. La voragine infernale ha forma di imbuto rovesciato, è collocata sotto la superficie dell’emisfero settentrionale e si formò per volontà divina dopo la ribellione di Lucifero, che sprofondò nella terra, scavando il burrone infernale e rimanendovi conficcato. In origine le terre non stavano nell’emisfero nord, ma nell’emisfero sud, quello più nobile perché collocato dalla parte della beata sede celeste di Dio. Ma quando Lucifero e altri angeli si ribellarono a Dio ed egli li fece precipitare dal cielo, le terre emerse, spaventate, si ritrassero nelle acque riemergendo in quello che è il nostro emisfero boreale, quello abitato. Lucifero rimase confitto nel centro della terra, che, sempre per sfuggirgli, si ritrasse producendo una caverna naturale, l’inferno. 

Parafrasi tratta dal saggio di F.Cremascoli, Dante. Percorso di scrittura.

Passata la porta dell’inferno, subito ci si trova nell’antinferno il cerchio più grande dei nove concentrici su cui sono punite le anime dei dannati, ordinati secondo la dottrina di Aristotele, che Dante desume principalmente dall’Ethica nicomachea. Secondo questa dottrina, tre sono le grandi categorie dei peccati: l’incontinenza, la violenza e la frode, che si suddividono a loro volta in un ampio ventaglio di specifici errori nella cui varietà prende forma l’esercizio del male. È Virgilio che spiega a Dante, nell’XI canto dell’Inferno la topografia del regno dei dannati. Questa spiegazione non è data all’inizio del viaggio, ma soltanto quando i due viandanti stanno per lasciare il sesto cerchio, e stanno per affrontare i tre cerchi più profondi.

Inf XI, 16-27.  

«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi.

Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.

D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. 

Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale».

PARAFRASI. «Figliolo mio», cominciò poi a dire «dentro quel burrone ci sono tre altri cerchi come quelli che hai lasciato, ma più piccoli man mano che si scende. In questi cerchi stanno i maledetti e ti dico ora in che condizione sono tenuti perché quando li vedrai ti basti un’occhiata. Di ogni azione malvagia, che acquista l’odio del cielo, “ingiuria” è lo scopo, e tale scopo che reca danno altrui si persegue o con la violenza o con la frode, l’inganno. Ma poiché la frode è malvagità particolare dell’uomo, è il peccato che più spiace a Dio, e perciò i fraudolenti stanno di sotto e patiscono i castighi più dolorosi».

Scrivete la parafrasi dei versi che descrivono paesaggio infernale

Il settimo cerchio

Giusto per ricordarvelo. Il paesaggio infernale ha alcune caratteristiche costanti: è buio, è rumoroso e caotico, emana un puzzo sempre più forte: per questo Virgilio spiega l’inferno solo all’XI canto, durante una sosta forzata per abituarsi all’odore che diventa sempre più nauseabondo.

La discesa verso il basso inferno non è facile, il sentiero è dirupato e un fiume ribollente di sangue, il Flegetonte, scorre nel settimo cerchio. Oltre il fiume c’è una selva fosca, contorta e spinosa di punte avvelenate. I versi iniziali del XIII canto sono irti di suoni aspri e secchi, perché il poeta anche attraverso il tessuto fonico del verso costruisce la caratterizzazione di questo luogo infernale.

Inf, XIII, 4-9
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco:

non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

L’asprezza, l’aridità, la stranezza della selva sono espresse dai suoni duri, consonantici che s’inseguono in questi versi. Anche la costruzione sintattica contribuisce a tale asprezza perché i primi tre versi sono costruiti sull’anafora e sull’antitesi «non/ma». E poiché il paesaggio dell’oltretomba è al di là dell’esperienza umana, perché il lettore possa in qualche modo immaginarlo, il poeta suggerisce un confronto tra questo ed un luogo terrestre: ecco allora evocata la natura selvaggia della Maremma, dove vivono i selvatici cinghiali, ma per dire che la selva nodosa e contorta del settimo cerchio è molto più inospitale e intricata della regione che si stende tra Cecina e Corneto.

Al di là della selva (XIV canto) si stende poi un deserto rovente, su cui piove una pioggia di fuoco, impossibile da attraversare, se non fosse per l’argine di roccia che corre lungo un rigagnolo d’acqua che esce dalla selva e fende il sabbione per precipitare nel cerchio sottostante. Dall’acqua emana un vapore che neutralizza la pioggia di fuoco e dunque è l’unico sentiero che possa condurre al bordo del cerchio. Lì si apre un burrone profondo e scosceso, che non può essere superato a piedi. Solo in groppa a Gerione Dante e Virgilio possono scendere a Malevole, l’ottavo cerchio.

Ottavo e nono cerchio

All’inizio del XVIII canto appare agli occhi del lettore il panorama dall’alto di questo luogo: il suo colore è «ferrigno» ed è solcato da dieci cerchi concentrici, simili ai fossati che cingono un castello, sopra ciascuno è gettato un ponte, proprio come nelle fortezze, solo che al centro di Malebolge si apre il pozzo che immette nel nono cerchio. L’aspetto di ogni bolgia aggiunge un particolare grottesco al quadro d’insieme: la prima è «sasso tetro»; la seconda ha le pareti incrostate da una muffa, prodotta dall’alito dei dannati ricoperti dello sterco che ne lorda il fondo. La terza bolgia (XIX canto) è livida e forata da buche roventi; e così via.

Da qui in avanti i versi si fanno ancora più aspri di quanto lo siano stati prima, pieni di parole consonantiche e tanto dure, com’è duro il cammino per le ripe e il fondo di questo luogo. Il fondo del nono cerchio è una distesa ghiacciata, un «tristo buco», così terrificante a vedersi che la poesia dovrebbe essere aspra e rauca per poterlo raccontare (XXXII canto). 

Inf, XXXII, 1-9
S'io avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco
sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce,

io premerei di mio concetto il suco
più pienamente; ma perch'io non l'abbo,
non sanza tema a dicer mi conduco;

ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l'universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo.

Solo se fossi capace di un linguaggio disarmonico e caotico, dice il poeta, potrei spremere il succo della mia esperienza nel fondo dell’universo, nel luogo più lontano da Dio. Raccontare l’orrore è raccontare lo sconvolgimento di ogni razionalità, impresa da non sottovalutare, impresa ai confini del possibile per una lingua umana.

E i primi sei cerchi?

Nel primo cerchio, nel limbo, stanno le anime di coloro, che non ebbero il sacramento del battesimo, dunque i bambini morti appena nati, ma anche i pagani virtuosi e altre anime eccellenti che però non furono cristiane o perché nate prima della nascita di Cristo o perché non conobbero mai il Vangelo. La loro pena non è drammatica, i saggi anzi hanno dimora in un castello piacevole, luminoso e quieto, ma sono privati per l’eternità della contemplazione di Dio. 

Dal secondo al quinto cerchio sono puniti i peccati d’incontinenza: la lussuria; la gola; l’avarizia e il suo opposto, la prodigalità; l’ira e l’accidia. Questi peccati hanno origine dalla mancanza di autocontrollo e sono puniti secondo la legge del contrappasso: le pene sono rapportate al peccato per analogia o per contrasto. Così nel quinto cerchio gli iracondi immersi nel fango sono condannati a percuotersi e a dilaniarsi come bestie per l’eternità. Il quinto cerchio è immerso nel fango di una palude, formata dal secondo fiume infernale, lo Stige. 

Di lì si scorgono le mura di una città, la città di Dite. Superate le mura, si entra nel sesto cerchio, dove è punita la malizia propria degli eretici e degli epicurei. 

Da notare: Dante modifica in parte il dettato aristotelico circa la classificazione dei peccati (incontinenza, violenza, e frode) Introduce infatti tre nuove categorie di peccatori: gli ignavi, i non cristiani, gli eretici.