Il carattere di Dante

Il carattere di Dante. Un estratto dal saggio di Ferdinanda Cremascoli, Il cammino e la pietate, cinque lezioni sulla struttura narrativa della Commedia. Ecco una mappa mentale (da completare dopo aver letto la “Lezione 3, i personaggi”).

Il carattere di Dante

Il carattere di Dante

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«Dante, perché Virgilio se ne vada
non pianger anco, non pianger ancora;
ché pianger ti conven per altra spada».
Purg., XXX,55-57

Il nome del protagonista della storia narrata nella Commedia compare per la prima ed unica volta in questo passo del Purgatorio: è il personaggio di Beatrice che apostrofa il pellegrino e lo rimprovera per le lacrime che egli versa al momento della separazione da Virgilio, sua prima guida, e lo invita con secchezza a piangere per ben più seri motivi. 

Da questo passo il lettore ricava comunque il nome dell’eroe di questa storia, che ha lo stesso nome del poeta che la scrive. Ma se anche il personaggio di una storia ha dei tratti in comune con un individuo storicamente esistito, è pur sempre il personaggio di una realtà immaginata da non confondere con l’altro.  Il Dante del poema ha in comune con Dante Alighieri, storicamente vissuto, alcuni dati.

Ad esempio è di Firenze, un suo antenato si chiamava Cacciaguida, ha avuto per maestro Brunetto Latini, tra i suoi amici c’è Guido Cavalcanti, conosce bene la letteratura cortese, ha molta ammirazione per certi poeti latini come Virgilio o Stazio, è poeta egli stesso, … patirà l’esilio dalla sua patria.

“Patirà”, appunto: perché il viaggio nell’oltretomba del personaggio Dante si svolge nel 1300, quando Dante Alighieri non è ancora in esilio; Dante Alighieri è sposato con Gemma Donati e da lei ha avuto dei figli; il personaggio Dante non ha moglie e non ha figli. Dunque le due entità di nome Dante non sono identiche, anche se il poeta che ha scritto la Commedia tende per noi lettori a sovrapporre l’una all’altra.

All’inizio del racconto emergono due dati sul carattere del protagonista di questa storia di nome Dante: la sua età, e la sua paura.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai in una selva oscura

E’ il celebre inizio del poema. Il gioco tra prima persona plurale e prima persona singolare segnala che al centro dell’opera l’avventura di un fiorentino, di nome Dante e d’età di circa trentacinque anni, riguarda non solo lui, ma tutti gli uomini di tutti i tempi, perché è universale l’esperienza del male ed è universale la ricerca della salvezza. Ma perché circa 35 anni?

La tradizione filosofica vuole che il corso della vita umana sia di settant’anni; lo stesso vuole la Bibbia; l’interpretazione allegorica dell’Eneide considera che la discesa di Enea agli inferi segni il punto mediano della sua vita.  Ma soprattutto nel trentaquattresimo anno d’età Gesù compie l’esperienza peculiare di ogni cristiano: la morte e la resurrezione, cioè il male e la liberazione dal male. Dunque alla stessa età il protagonista della Commedia si perde nella selva oscura del peccato ed inizia un viaggio di redenzione nei tre regni dell’aldilà. E’ proprio l’idea dell’ “imitazione di Gesù” quella che fonda il carattere del protagonista, che assume proprio per questo il valore di un personaggio esemplare.

Il tratto distintivo del carattere Dante è la paura. All’inizio è paura per le tremende visioni che gli si parano davanti; è paura per il sentimento di incertezza e viltà che lo invade. Poi man mano che il viaggio procede la paura si trasforma in timor di Dio, cioè nella percezione della propria umiltà di fronte alla grandezza del Signore e nella volontà di seguire la via che Egli misericordioso gli indica. Dunque la paura non è necessariamente un sentimento negativo che conduce alla viltà; al contrario può essere sentimento positivo che predispone all’umiltà, all’atteggiamento cioè che rende possibile la redenzione dal peccato. 

All’inizio della discesa all’inferno la selva e le bestie feroci sgomentano il nostro eroe e gli fanno «tremar le vene e i polsi». Egli riacquista il suo coraggio davanti a Virgilio, che con la sua nobiltà d’animo, lo fa vergognare della propria fiacchezza. La paura accompagna Dante nel passaggio dell’Acheronte, la paura lo coglie davanti a Pluto e davanti alle mura della città di Dite, la paura è il sentimento che domina la discesa all’inferno. Accanto alla paura v’è tuttavia il senso della vergogna, che costituisce lo stimolo ad essere più forte.

Un esempio è nell’episodio di Gerione, mostruoso, ma unico mezzo per discendere dal settimo all’ottavo cerchio. L’incontro riempie Dante di terrore. Virgilio lo invita a salire sulla groppa del mostro e per primo s’avvia nella posizione più pericolosa, quella vicina alla coda velenosa. 

   Qual è colui che sì presso ha ‘l riprezzo
de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
e triema tutto pur guardando ‘l rezzo,

   tal divenn’ io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.

Inf, XVII,85-90

Come colui che sente avvicinarsi il brivido («riprezzo») della febbre malarica («quartana»), che ha già le unghie livide e trema tutto anche solo a guardare un luogo ombroso e fresco («rezzo»), tale fui io, dice Dante,  alle parole di Virgilio, ma la vergogna mi minacciò, la vergogna che rende forte anche un servo di fronte ad un valoroso signore. 

Il tema narrativo della paura, associata al tremore e alla vergogna segnala il carattere du Dante e torna all’ingresso del paradiso terrestre, quando appare Beatrice. Dante, prima ancora di vederla in viso, trema d’emozione.

   E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,

   sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza.

Purg, XXX, 34-39

Dante trema, affranto, perché, pur senza vedere Beatrice («sanza de li occhi aver più conoscenza»), che compare velata, sente il grande potere del suo antico amore. Beatrice lo rimprovera e gli chiede come faccia a sentirsi degno del luogo in cui si trova. Dante abbassa lo sguardo sul fiume Letè che gli scorre davanti. Ma rispecchiandosi nell’acqua, prova tanta vergogna che volge lo sguardo altrove, sull’erba, senza osare di risollevarlo.

   Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.

Purg, XXX,76-78

La vergogna è così il sentimento che consente a Dante di trasformare la propria paura in senso positivo. Virgilio lo rimprovera nella selva di non avere né «ardire», né «franchezza», malgrado l’aiuto della grazia divina. Spronato dal suo maestro, Dante si libera via via della viltà, ma proprio il viaggio nell’inferno gli insegna che l’opposto della paura può anche non essere il coraggio, ma la temerarietà. 

Il testo prosegue in Il cammino e la pietate