Il professor Štrum e il suo maestro Čepyžin

Il professor Štrum e il suo maestro Čepyžin. Gli scienziati non devono ignorare il mondo amaro, percorso dalla violenza più scellerata. La scienza mette a disposizione dell’umanità immense fonti di energia. È necessario un controllo pubblico perché l’energia scoperta dalla scienza moderna non riduca il mondo in un cumulo di macerie.

Il professor Štrum e il suo maestro Čepyžin

Dal saggio di Ferdinanda Cremascoli, Stalingrado, il polittico di Vasilij Grossman, Biblioteca di ItalianaContemporanea, edizione digitale, maggio 2020


Štrum non ha mai dimenticato il primo incontro con il professor Čepyžin a lezione. La voce del maestro è pacata, paziente, indulgente, ma può improvvisamente farsi appassionata nel tono, addirittura violenta, da propagandista politico più che da professore. Le formule che scrive alla lavagna non sono solo espressioni della nuova meccanica delle super energie e delle velocità supersoniche, sembrano addirittura appelli, slogan. Il crepitio del gesso sembra quello di una mitragliatrice, quando la mano del professore, delicatissima con gli strumenti ultrasensibili, ma forte come quella di chi sa usare pialla e ascia, indica un punto, come a piantare un chiodo sulla lavagna che porta il disegno di un integrale, incantevole nella sua forma di cigno. Le formule di Čepyžin sono frasi umanissime che raccontano il dubbio, la fede, l’amore, ricche come sono di commenti espressi da punti interrogativi o esclamativi o puntini di sospensione … radicali, differenziali, integrali sono affascinanti a tal punto che cancellarli dalla lavagna fa male al cuore … «Quella lavagna voleva essere custodita come un prezioso manoscritto».

È uomo dai più vari e vasti interessi: studioso di fisica, scrive poesie, ama la pittura, è circondato da molta ammirazione, specie femminile. Eppure ha un’unica passione: rendere la vita migliore per tutti, grazie al sapere, grazie alla scienza.

Il suo amore per i boschi e la campagna del suo paese, il suo interesse per i pittori realisti del XIX secolo, Levitan e Savrasov, di cui colleziona le tele, la sua ammirazione per Tolstoj e Puškin, la sua amicizia coi vecchi contadini che vengono a trovarlo a Mosca, lo sforzo enorme per organizzare le università operaie della capitale, la sua curiosità per i canti popolari e per le nuove industrie, tutto ciò ha un fondamento unico, e su questo s’innalza l’edificio della sua scienza.

Per Čepyžin tutto l’universo del pensiero astratto, arrivato ormai ad altezze in cui non si distinguono più il mare, i continenti, il pianeta stesso, tutto questo universo è solidamente piantato sulla sua terra natale, e da lì trae i succhi vitali che lo fanno vivere. Perché per Dmitrij Petrovič Čepyžin la sua vita di scienziato è guidata fin dalla giovinezza da un sentimento semplice e chiaro: «Voglio che i lavoratori siano liberi, felici e ricchi, che la società sia organizzata su basi di libertà e di giustizia».

Cioè, le sue azioni, le sue decisioni, i suoi progetti di scienziato hanno senso, solo se sono finalizzati alla felicità di tutti. Egli ricerca come tutti i sapienti la verità, ma non per se stessa; per lui il fine ultimo della scienza è quello di giovare all’umanità. Naturalmente nelle parole di Čepyžin, e anche di Štrum, c’è sovrapposizione tra le idee di “lavoratori”, “società”, “umanità”: ma occorre notare che questi due personaggi si esprimono così, perché la dilogia di Grossman è un romanzo storico, e Čepyžin e Štrum sono scienziati sovietici attivi negli anni Venti, Trenta del XX secolo, nell’Unione Sovietica appena nata dalla rivoluzione.  

Ma è evidente che il professor Čepyžin reputa che o il fine della scienza è quello di giovare all’umanità o non si dà scienza, e risolve così, nella dichiarazione della finalità etica della scienza, il tema che interessa il suo allievo Štrum, quello del rapporto tra teoria e prassi. 

Ci sono due importanti dialoghi tra Čepyžin e Štrum nella dilogia. Il primo è in Stalingrado (I, 42), il secondo è in Vita e destino (III, 25). In entrambi è presente il tema della ricerca scientifica, della sua finalità ultima, e delle sue applicazioni tecnologiche.  Nel primo dialogo, con forza, è presente anche il tema dell’energia morale del popolo, che per quanto mutilata, conculcata, lacerata, non può essere distrutta. 

La riflessione dei due scienziati prende l’avvio dalla domanda inquietante sulla civiltà tedesca: come è potuto accadere che una cultura così raffinata, sia stata ridotta al silenzio da una banda di primitivi scellerati? Non è che il nazismo sia sorto dal nulla: quanto c’è di nazionalismo nella cultura tedesca prima di Hitler? Ricordando una conversazione, in cui Krymov citava Marx sul ruolo delle forze reazionarie nella storia tedesca, Štrum esprime una valutazione storicista: «Il fascismo ha un legame di parentela con il passato reazionario tedesco, ma ne è una forma particolare, la più abominevole».

Čepyžin non lo segue su questo terreno, per lui è la natura degli esseri umani ad essere ambigua, sospesa com’è tra primitivismo e cultura. 

Nell’uomo c’è una sacra mistura, ci sono in lui cose sepolte, nascoste, primitive, grezze. Un uomo che vive in condizioni sociali normali di solito ignora lui stesso il sottosuolo e le caverne del suo animo. Ma avviene una catastrofe sociale ed ecco che il verminaio esce dalle caverne, cresce e di diffonde negli spazi chiari e puliti!

Il nazismo, dice Čepyžin,  ha portato alla superficie tutto ciò che era sepolto, nascosto, mentre le forze buone della ragione, si sono rintanate nel profondo. Ma, benché siano divenute invisibili, esse continuano ad esistere, non sono annientate. I nazisti hanno mutilato l’animo di tanti, ma «l’uomo resterà l’uomo». Il sentimento popolare, dice Čepyžin, è che il lavoro libero, utile e creatore ha bisogno di uguaglianza, di onore, di libertà. 

La morale del popolo è semplice: il mio diritto sacro posa sul diritto sacro di tutti i lavoratori che vivono sulla terra. Mentre il fascismo e Hitler hanno affermato il contrario con un’evidenza e una brutalità particolare: il mio diritto è nella schiavitù degli uomini e dei popoli, nella sottomissione del mondo intero. Le forze buone, razionali, popolari, il sale della vita, si sono rintanate in profondità, sono diventate invisibili, ma continuano a vivere, a esistere… Il popolo resterà.

Il fascismo, dice il professor Čepyžin, è potente ma non può vincere. L’energia morale di un popolo è simile all’energia del sole, che si irradia nello spazio e attraversa deserti di oscurità e resuscita nelle foglie d’un salice, nella linfa vivente d’una betulla, si nasconde nei cristalli, nel carbone e fa nascere la vita. I caporioni della violenza e della distruzione, i fascisti sentono il bisogno di giustificare le loro tremende azioni con lo scopo del bene per il loro popolo. Ma, osserva Čepyžin, come può esistere il bene di un popolo solo, al prezzo sanguinoso del male per tutti gli altri? Se la ricerca del bene si fonda su una base nazionalista, o peggio razzista, il prezzo sarà la distruzione di tutti quelli che non appartengono ad uno specifico gruppo, sia esso nazionale, razziale, sociale.

Questo mondo amaro, percorso dalla violenza più scellerata, non deve essere ignorato dagli scienziati. La scienza, dice Čepyžin, è sul punto di scoprire immense fonti di energia e queste, dice, devono appartenere al popolo, cioè a tutti. Se cadranno in mano fascista, cioè non nelle mani di tutti ma di qualcuno soltanto, le forze di distruzione create dalla scienza moderna, ridurranno il mondo in un cumulo di macerie.

Štrum non è d’accordo sul problema tedesco, di cui ribadisce il carattere storico: è l’imperialismo prussiano il terreno di coltura del nazismo. Polemicamente domanda poi dove sia la morale del popolo in Germania, dal momento che il popolo potendo esprimersi in libere elezioni, ha votato per Hitler.  Štrum esprime un giudizio “da marxista”: la vittoria del nazismo in Germania è una vicenda storica, mentre per il suo maestro questa sembra una vicenda eterna, l’eterna lotta tra Bene e Male. «La vostra sacra mistura nega nei fatti il progresso, il movimento in avanti», dice Štrum. Ma il progresso esiste: negli anni successivi alla rivoluzione, negli anni sovietici tutto è cambiato. Non si tratta del conflitto universale tra Bene e Male, ma di cambiare in positivo l’intera società umana. In Germania, quando il nazismo sarà vinto, bisognerà risanare il terreno di coltura che l’ha prodotto.

Non è senza una nota umoristica che questo dialogo prende vita. La figura di Čepyžin, come si sa, è stata introdotta da Grossman in un secondo tempo rispetto alla versione originale del primo romanzo. Nella prima versione lo scienziato protagonista era solo Štrum, che riassumeva in sé anche il carattere del suo maestro. Ma che un sapiente ebreo avesse una statura intellettuale maggiore di chiunque altro, era stato giudicato inammissibile dai censori nell’URSS degli anni Cinquanta. Ebbene in questo dialogo sulla Germania, il marxista è l’ebreo, laddove il russo si mostra sensibile a riflessioni “idealiste” e problematiche. 

Ben presto comunque il professor Štrum dovrà ripensare a questo dialogo e mutare il suo giudizio, allorché le sue ricerche e il suo pensiero entreranno in rotta di collisione con la direzione dell’Istituto e con il partito, con l’aggravante del suo essere ebreo. Egli sarà proprio accusato di sostenere posizioni,  idealistiche, reazionarie e venate di talmudismo. 

Nel secondo – e ultimo – dialogo Čepyžin, al corrente della disgrazia di Štrum, cerca di consolarlo, facendogli gettare uno sguardo sul futuro che la scienza sta aprendo, ma ne provoca il profondo turbamento fino alle lacrime: Štrum ormai sa perché il suo maestro si è dimesso, perché non vuol avere parte in un presente di barbarie e sangue, e lui stesso ormai non può dimenticarsene e non può trovare consolazione.

Il professor Čepyžin è tuttavia assai meravigliato dell’attacco cui Štrum è sottoposto. Aveva interpretato la nomina a direttore di Šišakov come un chiaro segnale della volontà del partito di favorire la ricerca nucleare: Šišakov per la gestione amministrativa e politica, Štrum per il lavoro scientifico vero e proprio. Il professor Čepyžin non si sbaglia, come si vede dalla telefonata di Stalin in persona a Štrum, un intervento che corregge gli “errori” dei funzionari più stalinisti di Stalin (VD, III, 42). Štrum è riaccolto così in istituto con tutti gli onori e inizia per lui una vita piena di impegni: auto, passaggi aerei, soddisfazione di tutte le sue richieste.

Štrum è fiero di se stesso, orgoglioso per la saldezza morale dimostrata. Finché … finché lo Stato non esige nuovamente da lui un ulteriore atto di sottomissione. Direttore, vicedirettore e incaricato del Comitato Centrale, Šišakov Kovčenko Bad’in, lo circondano, e con cortesia d’acciaio chiedono la sua firma su una lettera: la stampa occidentale, dicono, sta montando una campagna diffamatoria contro l’Unione Sovietica per la persecuzione di tanti intellettuali. Il biologo Četverikov effettivamente è stato da poco arrestato, obietta Štrum, e sono stati arrestati di recente anche i medici ebrei, il prof. Pletnëv il dott. Levin, accusati di aver avvelenato Gor’kij. Certo, ribattono i tre, ma sono rei confessi e dunque l’Occidente è calunnioso e occorre difendere il buon nome della patria.

E Štrum firma. E Štrum non si perdona.

È distrutto. Ha male al cuore. Capisce di essersi insuperbito per il suo gesto di coraggio, ma sa bene che ogni uomo è coraggioso e vile ad un tempo, e la pressione cui si è sottoposti in un sistema dispotico è tale che non si può giudicare a cuor leggero chi non è sempre coraggioso. Lo stato totalitario è tanto potente quanto inermi sono le sue vittime. 

Forse questo pensiero lo salverà dalla disperazione, forse avrà un’altra occasione.

Ci riuscirà? La questione resta aperta.

Guida alla lettura

Il rapporto conflittuale col potere che anima i difensori di Stalingrado è narrato anche nella vicenda di due scienziati, fisici nucleari, il professor Štrum e il suo maestro Čepyžin.