Il sessismo linguistico

Cecilia Robustelli è l’autrice di un manuale Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, curato in collaborazione con l’Accademia della Crusca per il Compitato Pari Opportunità del Comune di Firenze. Presentiamo la prima parte del manuale (pp. 16-21), in cui si ricostruisce la storia della riflessione sul sessismo degli usi linguistici in italiano.Su ItalianaContemporanea il testo è rubricato alla pagina “Il genere linguistico“.


1. Introduzione 

La riflessione sul modo di rappresentare le donne attraverso il linguaggio, sull’uso di stereotipi negativi – si pensi ai proverbi e ai detti diffusi in tutta Italia – e sull’importanza del ruolo che tutto ciò svolge nel processo di costruzione dell’immagine femminile, attraversa da molti anni la nostra società. Ma ogni volta che la stampa riprende la questione, e ciò avviene soprattutto quando una donna raggiunge una posizione di prestigio, si riaccende la discussione sul modo di definirla: si può dire ministra? È opportuno firmarsi la dirigente? Le persone più attente e sensibili all’uso della lingua, poi, rimangono oggi perplesse davanti a espressioni che sembrano escludere la donna, come la nascita dell’uomo o sono ammessi solo gli iscritti

La questione della rappresentazione della donna attraverso il linguaggio fu portata alla ribalta in Italia per la prima volta in modo sistematico e critico dal noto lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana (1987) in un periodo in cui la questione della parità fra donna e uomo era alla ribalta sul piano sociale e politico. Fino alla fine degli anni Ottanta però l’idea di parità sembrava implicare un adeguamento della donna al modello maschile o, più tecnicamente, una sua “omologazione” al paradigma socioculturale maschile. Per le donne che raggiungevano posizioni professionali o occupavano ruoli istituzionali di prestigio essere incluse nel “mondo linguistico” maschile – il plurale maschile continuava ad essere l’unica forma usata per gruppi di uomini e donne anche in campo professionale o istituzionale: i segretari, i responsabili, i dirigenti – e sentirsi chiamare direttore, architetto, consigliere o chirurgo rappresentava una prova della tanto sospirata parità: 

Marisa Bellisario è l’amministratore unico dell’Italtel (Il Messaggero, 6.11.1985) 

Il sostituto procuratore della Repubblica dott.ssa Ianniello (Corriere della Sera, 29.11.1984) 

Le istituzioni fornivano, anche se indirettamente, indicazioni per un uso della lingua che garantisse la parità fra i sessi, (…) con il risultato di diffondere, in riferimento a posizioni lavorative, l’uso del solo genere maschile a cui, da questo periodo in poi, si attribuisce l’etichetta di “maschile neutro” proprio perché usato, indifferentemente, per uomini e donne. Ma si tratta di una definizione davvero infelice: il genere grammaticale maschile è, appunto, maschile, ed evoca esseri maschili. Il genere “neutro” in italiano, a differenza di altre lingue, non esiste. Quando il genere grammaticale maschile viene usato in riferimento a uomini e donne si tratta di una estensione del suo uso ed è più opportuno parlare di “maschile inclusivo”. 

In quegli anni usare il genere maschile in riferimento alle donne non solo risulta corretto, ma viene addirittura avallato dal linguaggio istituzionale, senza che ci si renda conto di come ciò rinforzi la potente tradizione “androcentrica”, cioè incentrata sull’uomo, che caratterizzava la società italiana. Le molte forme femminili relative a professioni finalmente raggiunte dalle donne rimangono infatti “nascoste” sotto quelle maschili che ne rappresentano una specie di “incubatore” linguistico. Anche se il lungo percorso di affermazione della donna nella società compie in questi anni una notevole accelerazione con l’ingresso delle donne in istituzioni, facoltà e professioni da sempre riservate agli uomini, il linguaggio, con l’eccezione di pochi termini (ragioniera, maestra, lavandaia, sarta, ecc.) continua a definirle al maschile: chirurga, imprenditrice, ministra o sindaca sono ancora parole rare! 

Proprio in quel periodo, tuttavia, il concetto di parità subiva una profonda rilettura (Robustelli 2000) grazie all’introduzione anche in Italia del concetto di gender, elaborato negli USA: con gender ‘genere’ si intende l’insieme della caratteristiche socioculturali che si accompagnano alla appartenenza all’uno o all’altro sesso. Per ottenere la parità di diritti fra uomini e donne non era più necessario cancellare le differenze tra uomo e donna e rendere la donna “uguale” all’uomo ma, al contrario, si chiedeva di riconoscere le differenze di genere e di impegnarsi per la costruzione dell’identità di genere. E giacché dal punto di vista dell’importanza nella società, delle posizioni lavorative e istituzionali occupate, del riconoscimento dei diritti, la bilancia pendeva pesantemente dalla parte maschile, era necessario riequilibrarla valorizzando il genere femminile, fortemente discriminato. Al linguaggio fu riconosciuto subito un ruolo potente in questo processo: era anzitutto necessario cominciare a affermare la presenza delle donne attraverso un uso della lingua che le rendesse “visibili” per poter poi riconoscere le differenze di genere. Abitudini linguistiche alle quali non era stato mai dato grande peso, come l’uso di termini maschili in riferimento alle donne o di stereotipi negativi, si caricarono quindi di un significato “sessista”: le donne dovevano essere riconosciute attraverso l’uso del genere femminile. 

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2. Le Raccomandazioni di Alma Sabatini 

Rientra in questo processo politico-culturale il lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana, promosso dalla Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si richiamavano al programma di governo presentato alla Camera il 9 Agosto 1983 dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Oggetto di analisi del lavoro di Sabatini è denunciare che «la lingua italiana, come molte altre, è basata su un principio androcentrico: l’uomo è il parametro intorno a cui ruota e si organizza l’universo linguistico» (A. Sabatini 1987: 24) e che proprio le dissimmetrie grammaticali e semantiche che punteggiano il linguaggio lo rendono, nella generale inconsapevolezza del parlante, “sessista”. La riduzione di questo lavoro a poche e succinte indicazioni operative da parte dei media non ha reso ragione al suo spessore culturale, alla sua profondità di contenuto e alle acute capacità critiche che in esso si riflettono, tutte qualità per le quali se ne consiglia caldamente la lettura integrale. Ma, come dicevamo, fu appunto sul terzo capitolo, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, e sui singoli usi sessisti che si concentrò l’attenzione del grande pubblico: 

Dissimmetrie grammaticali 

  • maschile non marcato (uso di uomo con valore generico), es. rapporto uomo-macchina
  • maschile inclusivo, es. gli studenti entrino uno alla volta
  • concordanza al maschile, es. le ragazze e i ragazzi studiosi sono sempre premiati,
  • uso del maschile per i titoli professionali e ruoli istituzionali prestigiosi, es. il ministro Fornero si è recato in aula
  • uso del suffisso –essa, es. la presidentessa dell’associazione Iride 

Dissimmetrie semantiche 

  • -stereotipi: aggettivi, es. svenevole, ingenua, altruista, fragile, mite, isterica e diminutivi, es. mammina, mogliettina, stellina
  • polarizzazione semantica, es. uomo libero vs donna libera, go- vernante uomo vs governante donna 
  • identificazione della donna attraverso l’uomo o la profes- sione, es. il prof. Baldini e signora, la moglie di, la donna di 

Particolare interesse suscitarono i precisi suggerimenti per l’uso dei titoli professionali e per quelli relativi ai ruoli istituzionali di prestigio ricoperti da donne, che includevano l’abolizione delle forme in -essa e la loro sostituzione con quelle in -ora (professora e non professoressa), sui quali v. 6.1. Nonostante il patrocinio politico e il buon livello scientifico del lavoro, però, intellettuali e giornalisti affrontarono la questione sulla stampa, e la “consegnarono” al grande pubblico, con toni ironici.

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Si noti anzitutto che i suggerimenti e le proposte che compaiono nel lavoro di Alma Sabatini (1987) hanno costituito il punto di partenza per tutte le discussioni sulla questione e per tutte le operazioni di revisione di testi. 

(…)

Ma se tutte le pubblicazioni e i documenti prodotti da singole istituzioni e amministrazioni locali attraverso gli URP, i Comitati e le Commissioni Pari Opportunità, e le Consulte femminili, sottolineano la necessità di dare visibilità alla figura femminile, le modalità per realizzare concretamente un “linguaggio rispettoso dell’identità di genere” rimangono spesso solo accennate oppure, come vedremo più avanti, risultano di difficile utilizzo.