Il disinganno della guerra. C’è una linea d’ombra, un cuore di tenebra in ogni essere umano. La riflessione di Sigmund Freud nasce dalla lezione crudele della prima guerra mondiale. Ma non è ancora terribilmente attuale?
Noi siamo nati dopo la lezione ancora più terrificante della seconda guerra mondiale e dei programmi di sterminio di chi non è “noi”. Non è solo la crudeltà ad emergere, è la volgarità del cuore umano, come dice Josif Brodskij, la lezione forte che ne scaturisce, una volgarità che solo la poesia può arginare.
Questa riflessione del dottor Freud è un estratto da Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, edizione digitale Kindle, Edizioni Studio Tesi, Pordenone,1991. In ItalianaContemporanea il testo è nella rubrica “Giorno della Memoria 2023”. Sono 1636 parole e richiedono un tempo di lettura di circa 8 minuti.
Afferrati dal gorgo di quest’epoca di guerra, disorientati da informazioni unilaterali, senza poterei distanziare dai grandi mutamenti che già si sono verificati o si stanno verificando, e privi di ogni sentore circa le caratteristiche dell’avvenire che si va profilando, non sappiamo più cogliere il giusto significato delle impressioni che urgono su di noi, né l’esatto valore dei giudizi che pure esprimiamo.
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La guerra alla quale non volevamo credere adesso è scoppiata, portandoci la… delusione.
Non solo è la più cruenta e disastrosa di tutte le guerre sperimentate fin qui, a causa della micidiale perfezione raggiunta dalle armi sia offensive che difensive; ma è almeno altrettanto crudele, accanita e spietata di ogni altra precedente. Essa oltrepassa ogni limitazione a cui ci si obbliga in tempo di pace: quelle limitazioni che sono andate sotto il nome di diritto delle genti; non riconosce le prerogative del ferito e del medico, né fa distinzioni tra popolazione pacifica e popolazione in armi, e nega il diritto di proprietà privata. Abbatte, con furore cieco, tutto quanto trova sul suo cammino, come se dopo di essa non dovesse più esservi né futuro né pace tra gli uomini. Spezza ogni vincolo comunitario che ancora lega i popoli in lotta e minaccia di lasciar dietro di sé un rancore tale da rendere ancora per lungo tempo impossibile il ripristino di quelle relazioni.
Essa ha inoltre portato in piena evidenza quel fenomeno difficilmente comprensibile per cui i popoli civili si conoscono e comprendono così poco da rivolgersi l’uno contro l’altro con odio ed esasperata avversione. Una delle maggiori nazioni civili è diventata talmente odiosa a tutti, che ormai si può tentare di escluderla in quanto «barbara» dalla comunità dei popoli civili, nonostante essa abbia lungamente attestato la propria idoneità ad appartenervi, con contributi della massima dignità e qualità. Noi vogliamo sperare che un giorno una ricostruzione storiografica imparziale potrà provare come proprio questa nazione nella cui lingua sto scrivendo, e per la cui vittoria stanno combattendo coloro che amiamo – sia quella che meno ha violato le leggi della civiltà umana; ma chi può in questi tempi erigersi a giudice della propria causa?
I popoli, più o meno, sono rappresentati dagli Stati che formano; e gli Stati dai governi che li guidano. In questa guerra, il singolo cittadino può verificare con sgomento ciò che già in tempo di pace aveva talora intravisto: e cioè che lo Stato ha interdetto al singolo la pratica dell’illecito, non perché voglia abolirla, ma solo perché intende averne il monopolio, come per il sale e i tabacchi. Lo Stato combattente si concede ogni illecito, ogni violenza: quegli illeciti e quelle violenze che disonorerebbero il privato. Contro il nemico, si serve non solo di ogni astuzia consentita, ma anche della menzogna consapevole e dell’inganno intenzionale, e ciò in misura tale che sembra andare al di là di tutto quanto si era usi fare nelle guerre precedenti. Dai suoi cittadini lo Stato pretende il massimo di obbedienza e di spirito di sacrificio, ma li tratta come dei minorenni, esagerando nella segretezza ed esercitando nei confronti di ogni comunicazione ed espressione di pensiero una censura tale da rendere lo stato d’animo di coloro che ha così represso intellettualmente, del tutto privo di difese nei confronti di qualsiasi situazione sfavorevole che possa determinarsi o di una qualunque confusa diceria. Recede da tutti gli accordi e i trattati che lo vincolavano ad altri Stati, e non si preoccupa di dimostrare apertamente la propria avidità e bramosia di potenza: e il cittadino deve approvare tutto questo per patriottismo.
E non ci si obietti che lo Stato non può fare a meno di praticare l’illecito perché altrimenti si troverebbe in posizione di svantaggio. Anche per il privato il rispetto delle norme etiche e la rinuncia alla forza bruta sono in genere molto poco vantaggiosi, e assai di rado lo Stato si rivela in grado di risarcire il privato per il sacrificio che ha preteso da lui. E non ci si può neanche meravigliare se la dissoluzione di tutte le relazioni etiche tra le grandi individualità dell’umanità si è ripercossa sulla moralità privata: la nostra coscienza non è certo quel giudice inflessibile che i moralisti vorrebbero farci credere; alla sua origine non è altro che «angoscia sociale». Allorché la comunità lascia cadere la propria condanna, vien meno anche la repressione degli impulsi malvagi, e gli uomini si sfrenano in atti di brutalità, di perfidia, di tradimento e di crudeltà: atti che si sarebbero ritenuti davvero inconciliabili col grado di civiltà da loro raggiunto.
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In questa guerra, due sono le cose che hanno determinato la nostra delusione: la scarsa moralità verso l’esterno, dimostrata dagli Stati che all’interno si pretendono i custodi delle norme morali, e la brutalità nella condotta dei singoli: una brutalità di cui non li si sarebbe ritenuti capaci, in quanto membri della più alta civiltà umana.
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L’uomo è costituito da moti pulsionali di natura elementare, simili in tutti e orientati alla soddisfazione di determinati bisogni originari. Questi moti pulsionali, in sé, non sono né buoni né cattivi. Noi classifichiamo tali moti e le loro manifestazioni soltanto in base alloro rapporto con i bisogni e le esigenze della comunità umana. Ciò su cui si può concordare è che tutti quegli impulsi che sono condannati dalla società – esemplarmente nominiamo gli impulsi egoistici e quelli crudeli – sono tra questi moti primitivi. Tali impulsi primitivi devono percorrere un lungo cammino di evoluzione, prima che sia loro permesso – nell’adulto – di divenire attivi. Vengono inibiti e diretti verso altri scopi e altri ambiti, si confondono l’uno nell’altro, scambiano i loro oggetti, e in parte si rivolgono contro il soggetto stesso. Formazioni reattive nei confronti di determinate pulsioni simulano il mutamento del loro contenuto, come se l’egoismo diventasse altruismo, la crudeltà compassione.
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La modificazione delle pulsioni «cattive» è opera dell’azione convergente di due fattori: uno interno, l’altro esterno. Il fattore interno consiste nell’influenza che sulle pulsioni cattive – diciamo meglio, egoistiche, – ha l’erotismo, il bisogno che l’uomo ha di amore, inteso nel più ampio senso: nell’amalgama di componenti erotiche, le pulsioni egoistiche si trasformano in pulsioni sociali. Si impara ad apprezzare di essere amati, come un vantaggio per il quale vale la pena di rinunciare ad altri vantaggi. Il fattore esterno, invece, riguarda la coercizione educativa, la quale incarna le pretese dell’ambiente civile e la cui opera viene in seguito proseguita dalla diretta influenza di questo.
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Come si è visto, la coercizione esterna, che l’educazione e l’ambiente esercitano sugli uomini, produce un’ulteriore trasformazione della vita pulsionale verso il bene, una conversione dall’egoismo all’altruismo. Tuttavia, non è detto che la coercizione esterna produca di regola e necessariamente questo effetto. Educazione e ambiente non offrono soltanto premi d’amore, bensì esercitano la loro azione anche con premi d’altro genere: con la ricompensa e la punizione. Sicché possono comunque far sì che chi è sottoposto al loro influsso si decida per una condotta buona nel senso della civiltà, senza che in lui la dimensione pulsionale si sia effettivamente nobilitata, né si sia compiuta la conversione delle inclinazioni egoistiche in propensioni sociali. L’esito sarà più o meno lo stesso; solo in determinate circostanze risulterà che uno agisce sempre bene perché è a ciò necessitato dalle proprie inclinazioni pulsionali, mentre un altro è buono solo perché, e fintanto che, i suoi fini egoistici traggono vantaggio da un siffatto comportamento civile.
(….)
Gli sviluppi psichici possiedono un carattere peculiare che non è rintracciabile in alcun altro processo evolutivo. Allorché un villaggio cresce a città, o un bambino si fa uomo, il villaggio e il bambino si perdono nella città e nell’uomo. Soltanto la memoria può ridisegnare gli antichi tratti nella nuova fisionomia; in realtà, le antiche forme e i vecchi materiali sono stati definitivamente eliminati e sostituiti dai nuovi. Qualcosa di diverso accade nel corso della evoluzione psichica. E tale fattispecie, del tutto incomparabile ad altre, può essere descritta solo col dire che ogni precedente fase di sviluppo continua a sussistere accanto alla successiva che ne è il prodotto; la successione comporta una coesistenza, sebbene i materiali da cui si è dipanata l’intera serie delle trasformazioni siano sempre gli stessi. La condizione psichica precedente può essere rimasta inespressa per molti anni, e tuttavia continua ad esistere, al punto che un giorno può diventare nuovamente la forma espressiva delle forze psichiche: e per di più l’unica forma, come se tutti gli sviluppi successivi fossero stati annullati, fatti regredire. Ma questa straordinaria plasticità degli sviluppi psichici non si esplica egualmente in tutte le direzioni; la si può considerare come una determinata tendenza alla involuzione, alla regressione, e infatti accade che uno stadio ulteriore e più alto di sviluppo, una volta abbandonato, non può essere nuovamente raggiunto. Invece, le condizioni primitive possono essere sempre ripristinate; i fattori primitivi della psiche sono davvero immortali.
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Per la verità, noi avevamo sperato che la grande comunità degli interessi, instaurata dagli scambi commerciali e dalla produzione, potesse rappresentare l’inizio di una tale costrizione, ma sembra che i popoli ubbidiscano per ora molto più alle loro passioni che ai loro interessi. Tutt’al più si servono degli interessi per razionalizzare le passioni; prendono a pretesto gli interessi per poter legittimare il soddisfacimento delle loro passioni. Perché poi i popoli e le nazioni si disprezzino, si odino, si detestino reciprocamente – e, per la verità, anche in tempo di pace – è davvero un mistero. lo non so veramente che dire. È come se, allorché una massa o addirittura milioni di uomini si riuniscono, tutte le conquiste morali dei singoli fossero cancellate, sicché rimangono solo gli atteggiamenti psichici più primitivi, più antichi e rozzi. Forse soltanto in più avanzati stadi dell’evoluzione, si potrà cambiare in qualche modo questo deplorevole stato di cose. Tuttavia, un po’ più di sincerità e franchezza da parte di tutti, nei rapporti degli uomini tra loro e con i loro governanti, potrebbe aprire la strada anche a questa trasformazione.