Possiamo facilmente considerare l’inizio dell’industrializzazione del VCO con l’arrivo dei fratelli Müller nel 1808 a Intra con macchinari e personale per iniziare un’attività di filatura meccanica del cotone, la prima realizzata in Italia. Nei decenni seguenti si osservano ulteriori iniziative industriali nella filatura del cotone ma è soprattutto nella seconda metà del XIX che si assiste a un forte sviluppo e, nel 1880, il territorio verbanese poteva contare su un totale di 35 stabilimenti che davano lavoro a circa 5000 persone. Leggi di più
Alla filatura del cotone si aggiungevano poi attività di supporto come la fonderia e la meccanica e anche l’industria parallela dei cappellifici che nel 1876 poteva contare su ben 7 stabilimenti. La fine del XIX può essere considerata un periodo di grande sviluppo nel Verbano con alcune figure eminenti come l’Ing. Carlo Sutermeister che realizzò nel 1891 una delle prime linee di trasmissione di energia elettrica extraurbana verso i suoi stabilimenti dalla centrale idroelettrica di Cossogno, e anche Lorenzo Cobianchi, promotore e primo presidente della Banca Popolare di Intra nel 1874 che, dopo la sua morte attraverso la sua fondazione, promosse la creazione di una Scuola di Arti e Mestieri nel 1882 che diventerà poi l’Istituto Industriale L. Cobianchi mostrando grande lungimiranza per i bisogni tecnologici. economici e formativi dell’industria locale.
L’industria verbanese della filatura del cotone non proseguirà la sua espansione nel XX secolo ed entrerà in piena crisi negli anni 50 del primo dopoguerra sparendo completamente. La stessa sorte toccherà ai cappellifici dove l’ultimo stabilimento venne chiuso nel 1981.
All’inizio del XX secolo si osserva la nascita nel territorio di nuove industrie, in particolare nell’Ossola, legate alla disponibilità di energia idroelettrica.
Questa disponibilità ha favorito l’insediamento di due tipi di industria: quella metallurgica caratterizzata da acciaierie, fonderie, produzione di ferroleghe, ecc. con gli insediamenti come la Cobianchi di Omegna, la Ceretti e la SISMA a Villadossola, la produzione di ferroleghe e di corindone a Domodossola.
Quella chimica, basata su processi elettrolitici o elettrotermici, e abbiamo qui in particolare la produzione di cloro e idrogeno per elettrolisi. L’idrogeno poteva servire a produrre ammoniaca e il cloro i composti organici clorurati con varie applicazioni. Questo è il caso della Rumianca di Pieve Vergonte.
Per i processi elettrotermici abbiamo avuto la produzione di carburo di calcio con l’impianto di Villadossola. Dal carburo di calcio si può ottenere l’acetilene che è stato l’intermedio di base per la produzione di tutta una serie di composti organici prima che l’etilene, di origine petrolchimica, lo sostituisse negli anni 60. Questo è il caso della Società Elettrochimica del Toce che, negli anni trenta, fondò con la grande società chimica francese Rhône Poulenc, la Rhodiatoce, sfruttando una tecnologia di acetilazione della cellulosa per la produzione del rayon o seta artificiale nello stabilimento di Pallanza. Gli stabilimenti di Villadossola producevano carburo di calcio che veniva trasformato in acetilene da cui ottenere l’anidride acetica per l’acetilazione della cellulosa e l’acetone per sciogliere l’acetato di cellulosa e filarlo per la produzione di rayon. Nel dopoguerra lo stabilimento di Pallanza introdusse anche la produzione di filo di nylon usando il polimero prodotto negli stabilimenti della Montecatini di Novara e introdusse anche telai per la produzione di tessuti.
Questo tipo di industria entrò in crisi a partire dagli anni 70 del secolo scorso con varie chiusure di impianti come la Cobianchi di Omegna o la produzione di ferroleghe a Domodossola, la ristrutturazione dei stabilimenti siderurgici con l’abbandono dei forni a arco e conservazione dei soli laminatoi, l’abbandono della produzione di ammoniaca alla Rumianca, che, dopo varie cessioni, è diventata proprietà della Tessenderlo conservando la sola produzione di cloro e dei suoi derivati. Infine la chiusura negli anni 80 dello stabilimento di Pallanza della Rhodiatoce, diventata Montefibre, ripreso più tardi in parte dal gruppo Mossi & Ghisolfi che ha conservato fino a tempi recenti la produzione di acetato di cellulosa per materie plastiche.
La chiusura dello stabilimento di Pallanza ha a sua volta comportato la chiusura anche degli impianti di Villadossola che però sono stati ripresi dalla Mapei e convertiti alla produzione di derivati vinilici per colle, vernici, ecc. Il solo nuovo importante investimento in campo chimico nel territorio è stato fatto da Mossi & Ghisolfi con l’Italpet che ha occupato parte dello spazio dello stabilimento Montefibre con la produzione di preforme di polietilentereftalato (PET) utilizzate per la produzione di bottiglie di plastica, produzione che non dipende più dall’energia elettrica come negli originari insediamenti ma dai derivati del petrolio.
Un altro importante settore industriale che si è sviluppato nel VCO dal primo dopoguerra è stato quello del casalingo comprendente la lavorazione di acciaio inossidabile o alluminio per caffettiere, pentolame, articoli da tavola e utensili da cucina. Si tratta di industrie che in alcuni casi, come Lagostina o i Fratelli Calderoni, esistevano in loco già agli inizi del XX secolo. Questo settore si è sviluppato sotto forma di piccole e medie imprese formando nel Cusio un vero e proprio distretto industriale.
Dobbiamo questo sviluppo in buona parte a innovazioni tecnologiche radicali, prima di tutto lo sviluppo della lavorazione dell’acciaio inossidabile al posto di materiali tradizionali come il rame o il ferro, lo sviluppo di pentole a pressione da parte della Lagostina, l’introduzione di piccoli motori elettrici per gli utensili da cucina effettuata dalla Girmi e l’importante innovazione introdotta dalla Bialetti nella produzione delle caffettiere con un design del prodotto vincente unito all’uso dell’alluminio con la nuova tecnologia di pressofusione. Non possiamo dimenticare poi lo sviluppo di Alessi con l’introduzione di un design di prodotto di alta gamma trasformando la forma degli oggetti casalinghi che possono così diventare anche dei veri e propri soprammobili. La crisi di questo settore è iniziata negli anni 80 con chiusure di piccole aziende e poi con la ripresa da parte di aziende bresciane di alcune importanti società che avevano fatto la storia del casalingo come la Girmi e la Bialetti seguita dalla loro chiusura e infine la cessione a una grande società francese della Lagostina, una delle più importanti aziende casalinghe del territorio. Concludendo possiamo infine citare un ultimo importante settore industriale della zona che è rappresentato dall’estrazione e lavorazione della pietra. Si tratta di un settore storico le cui lavorazioni esistono da molti secoli ma che non ha mai raggiunto importanti sviluppi, anche a causa delle dimensioni limitate delle cave, che non possono essere paragonate ad esempio a quelle sarde ne si è potuto formare un grande centro di commercio e lavorazione della pietra come quelli di Carrara o Verona. Questa industria Questa industria, anche se possiede alcune aziende importanti, ha comunqueancora in molti casi caratteristiche artigianali.