Italiano a scuola, l’incompreso

Italiano a scuola, l’incompreso. Andrea Gavosto interviene per l’ennesima volta sulle prove internazionali che misurano i livelli di preparazione degli studenti in uscita dai due gradi di scuola, quello di base (gli otto anni di elementari e medie) e quello superiore (altri cinque anni). In particolare sull’italiano, qual è il grado di preparazione dei ragazzi italiani sulla loro lingua madre dopo tredici (13!) anni di scuola? Save the children riprende i dati delle indagini internazionali e tira il segnale di allarme sul 45% di giovani che dopo tredici (13) anni di scuola non comprende ciò che legge (Italiano a scuola, l’incompreso), e il 51% non raggiunge un livello accettabile in matematica. In questo commento Andrea Gavosto fa chiarezza sull’origine dei dati, da dove derivano e cosa segnalano; denuncia ancora la sterile polemica sul concetto e sulla pratica della misurazione che non è mai stata fatta propria dalla scuola, impedendo qualsiasi azione volta a migliorare il livello di preparazione finale degli alunni.

Su ItalianaContemporanea il testo è rubricato nella pagina L’italiano a scuola.


Ha suscitato polemiche l’affermazione del presidente di Save the Children, ripresa dai media, che il 51% dei quindicenni italiani non è in grado di comprendere un testo o di svolgere un semplice calcolo. C’è chi, mettendo in dubbio il dato, ha sostenuto che la preoccupazione per gli apprendimenti dei nostri studenti vada molto ridimensionata. Cerchiamo di capire che cosa dicano davvero i dati e quale sia l’entità del problema.

Il livello di comprensione del testo e degli apprendimenti matematici e scientifici degli studenti a 15 anni è misurato dall’indagine internazionale «Pisa» dell’Ocse, che sottopone le stesse prove agli studenti di 93 Paesi. Dai risultati vediamo la percentuale di ragazzi che non raggiungono una soglia minima, la seconda su sei livelli: in Italia nel 2018 (ultimi dati noti, il Covid ha ritardato l’indagine del 2021) il 24% dei quindicenni non superava questa soglia in matematica, meglio solo di Spagna e Usa. Tanti, troppi, comunque al di sotto della percentuale indicata dal presidente di Save the Children.

Ci sono poi i dati nazionali, raccolti dall’Invalsi nei diversi gradi di scuola: qui la soglia di apprendimenti considerata adeguata è la terza su cinque livelli. In terza media, il 44% degli studenti non raggiunge questo livello in matematica (e il 39% in italiano). Le cose peggiorano in quinta superiore, con diciannovenni in procinto di sostenere l’esame di maturità: il 51% (ecco da dove arriva il numero!) non raggiunge la soglia accettabile in matematica, il 44% in italiano. Nelle regioni del Sud si arriva purtroppo anche al 60-70% (italiano a scuola, l’incompreso). 

Ma questi – si dirà – sono dati che portano con sé gli effetti del Covid, che tante ferite ha causato alla scuola. Vero, la quota degli studenti sotto soglia è aumentata di circa 10 punti fra il 2019 e il 2021. Però, i numeri erano estremamente elevati già prima.

Che cosa vuol dire non raggiungere un livello adeguato di apprendimento? Non significa, come spesso si ritiene, essere incapaci di ricordare nozioni apprese a scuola: le informazioni sono in realtà già presenti nel test Invalsi. Ciò che si richiede è la capacità di elaborarle, comprendendo la logica dell’argomentazione. 

Un esempio aiuta. L’Invalsi domanda: «I giocatori decidono di iniziare la partita dopo essersi assicurati di essere in 22. Qual è la successione temporale di queste azioni?». Poiché nell’enunciato l’inizio del gioco precede il controllo dei numeri, non raggiunge un livello adeguato chi non capisce che prima occorre verificare il numero di giocatori e poi iniziare la partita. È a domande di questo genere che uno studente su due, pur con 13 anni di scuola alle spalle, non riesce a rispondere.

Che cosa ricavare da questa discussione sui livelli di apprendimento? In primo luogo, che la necessità di fare ordine nei dati, senza sviste, non può e non deve oscurare la dimensione del problema. Non vorrei che passasse il messaggio, rassicurante per il mondo della scuola, ma sostanzialmente falso, che non ci si deve preoccupare più di tanto per le lacune dei nostri studenti. In secondo luogo, che i test Ocse e Invalsi sono strumenti di conoscenza importanti: purtroppo ancora di recente noti commentatori si sono scagliati contro le prove, ritenendole inaffidabili e sminuenti, stupidi quiz. È sbagliato: questi test sono ormai molto seri, ci segnalano problemi reali, dandone una prima misurazione da cui partire per la diagnosi. Attaccarli è come accanirsi contro il termometro quando si ha la febbre. 

Infine, che i problemi della nostra scuola sono cresciuti drammaticamente durante il Covid e la Dad: finora si è fatto poco per rimediare, i danni rischiano di protrarsi a lungo, mettendo a rischio il futuro di una generazione.

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