Un’altra specola, radicalmente differente, del controverso rapporto tra IA generative e diritto d’autore sta nell’attribuzione di una tutela giuridica all’output generato dall’IA, ritenuto, nella mente dell’essere umano che ne fa uso, un’opera d’arte o d’ingegno. Leggi di più
In questo senso, Stephen Thaler si è fatto paladino di chi ritiene che le IA debbano essere titolari di diritti d’autore o, lato sensu, di proprietà intellettuale; di più: depositarie del titolo di autori o inventori. Questo approccio viene condiviso da chi vede negli output delle IA qualità uniche e originali, o ancora interpreta le dinamiche generative come completamente autonome da eventuali indicazioni umane.
Nel noto caso DABUS (“Device for Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience”), Thaler si era registrato come titolare di brevetti il cui inventore risultava appunto l’IA, una rete neurale non supervisionata programmata dallo stesso Thaler.
Lo scienziato aveva presentato richieste di brevettazione in numerosissimi uffici di tutto il mondo, impugnandone talvolta i sistematici rifiuti.
Ovunque le corti interpellate si fossero occupate del caso, la soluzione era stata all’incirca la stessa: i diritti di proprietà intellettuale (anche l’attribuzione dell’invenzione, non quindi solo la titolarità, che è cosa ben diversa) sono prerogativa umana, o perché la legge espressamente li prevede come tali, o – anche nel silenzio dispositivo – perché supporre che una macchina abbia dei diritti sembra contrario ai principi degli ordinamenti (umani).
Le uniche eccezioni a questa prassi si erano riscontrate in Australia e in Sud Africa. In Australia, però, il giudice di secondo grado aveva ristabilito lo status quo, ribadendo che la ratio delle privative è umano-centrica e adeguandosi al resto delle corti mondiali. Il caso dello stato africano, poi, era totalmente particolare, in quanto nel Paese il sistema di registrazione di brevetti è fortemente formalistico e quasi automatico: il brevetto era stato riconosciuto il 28 giugno 2021 perché nessuno si era interrogato effettivamente sul merito della vicenda.
Dopo l’apparente fallimento del caso (rectius, dei casi) DABUS, Thaler ci ha riprovato, più di recente, nel settore del diritto d’autore. La sua Creativity Machine sarebbe autrice esclusiva di un’opera d’arte bidimensionale intitolata “A Recent Entrance to Paradise”.
La peculiarità del caso è che la Creativity Machine non riceverebbe alcun prompt dal suo creatore, ma si addestrerebbe in modo completamente autonomo sui dataset forniti, escludendo completamente l’apporto umano.
Una prima obiezione, sul punto, potrebbe essere che in ogni caso la validazione dei dati è umana, la programmazione del sistema pure, e che sì, i risultati dei processi di autoapprendimento tramite machine learning possono sfuggire al controllo umano, ma affinché una macchina produca un output di qualsiasi genere un qualche tipo di istruzione deve pure esserle stato dato, anche se remotamente.
Sul caso Thaler II si è recentemente espressa la DC District Court, mettendo (apparentemente) un punto alla questione: come nel caso dei brevetti, l’attribuzione del diritto d’autore è prerogativa umana.
Appurato che le disposizioni sul diritto d’autore – sostanzialmente in tutto il mondo – legano il concetto di “inventore” o “autore” a quello di essere umano, speculare sulle argomentazioni a favore o contro la soggettività di un’IA generativa travalica i confini della tecnica e si cala nell’etica, nella sociologia, nella filosofia.
Che ruolo vogliamo attribuire alle macchine? Rispondere a questo quesito richiede di esporre opinioni, più che stringenti logiche e verità stabili: gli stessi ricercatori nel campo delle intelligenze artificiali si dividono.
Affrontiamo allora la questione prosaicamente. I sistemi giuridici – in tutto il mondo – sono fatti dagli uomini per regolare i rapporti tra uomini e stabilire ordine laddove altrimenti regnerebbe il caos. Fuori da ulteriori questioni di merito, questa considerazione dovrebbe eliminare la sola idea di attribuire personalità giuridica, diritti e doveri ad una macchina, che non ha peraltro una coscienza, una volontà, e non è nemmeno intelligente ma “imita” molto efficacemente processi umani (e d’altra parte si sa che alcune imitazioni riescono meglio degli originali).
Ancora, andando al nocciolo del problema, la funzione dei diritti di proprietà intellettuale – e d’autore in particolare – è plurima: fornire una gratificazione morale agli autori, assecondando un certo desiderio di riconoscimento che spesso chiamiamo senso di giustizia; dare il viatico per un riconoscimento economico a favore dei titolari, senz’altro, attribuendo la qualifica di diritti a posizioni giuridiche che consentano uno sfruttamento economico; assegnare una tutela di beni economicamente e giuridicamente rilevanti a fronte di pretese o lesioni di terzi.
E allora: che se ne fa una macchina di denaro, se l’energia per farla funzionare viene comunque pagata – in ultima istanza – da esseri umani? Che se ne fa di riconoscimenti morali o materiali se non ha desideri, ambizioni, non capisce quello che produce perché – semplificando all’estremo – sostituisce ai sensi e alla mente la statistica?
Per adottare un grezzo paragone, ancora legato al caso Thaler II, si consideri che stendere un lenzuolo su di un prato, lasciarlo lì tre giorni, tornare per dichiararlo “installazione artistica” e poi richiedere che agli elementi naturali, agli animali e alle foglie si riconosca il titolo di “autore” è un po’ estremo e non comporta vantaggi a favore di nessun umano che possa farli valere.
In definitiva, l’obiettivo di Thaler di vedere riconosciuto lo status di autore ad un software dovrebbe restare disatteso per mero buonsenso (o anche solo per senso comune); la nostra società non è ancora pronta a considerare le macchine al pari degli esseri umani. Allora, se le AI non sono soggetti puramente autonomi si dovranno considerare, forse, come strumenti altamente evoluti e complessi, capaci di offrire vantaggi straordinari a chi meglio le sa usare; risorse strumentali, appunto, rispetto agli intenti di chi le usa conformemente alle qualità inimitabili dell’intelletto umano.
Di contro, dichiarare che un’IA non è un semplice strumento, perché crea output impensabili o contribuisce alle opere con apporti incisivi, creativi e fuori dal controllo umano, mancherebbe il segno: la realizzazione di molti film di fantascienza sarebbe stata impossibile senza effetti speciali e CGI, ma non per questo i nomi commerciali dei software utilizzati sono finiti nei titoli di coda degli stessi film come “co-autori”; allo stesso modo, chi usa Dall-E sa bene quanto la qualità dei prompt incida sulla qualità dell’immagine generata, tanto che artisti diversi hanno stili diversissimi anche attraverso l’uso del detto software; ancora, Chat-GPT dev’essere continuamente imbeccata per realizzare una canzone accettabile, e questo vale anche per gli avvocati che cercano di insegnarle a scrivere una diffida accettabile.
Sarebbe forse più corretto dire che l’IA potrebbe sembrare imprevedibile e fuori controllo se non la si sapesse utilizzare bene; ma questo a ben pensare, segnerebbe solo il discrimine tra i professionisti e tutti gli altri.
4. Tutelare le opere prodotte dall’AI
Tornando all’esempio del lenzuolo, la persona che avesse deciso di stendere il lenzuolo per terra (o che l’avesse trovato, se finito lì per caso) e lo avesse ritenuto poi un’installazione artistica, ben potrebbe avere interesse a sfruttare economicamente la sua opera o invenzione, attribuendole peraltro un senso ed un’interpretazione.
Curiosamente, la preoccupazione ricorrente di molti artisti, empiricamente raccolta dai commenti sottostanti agli articoli e ai post in cui si dichiara pervicacemente che “opere prodotte da IA non possono essere tutelate da diritti d’autore”, riguarda precipuamente il proprio lavoro. D’altra parte, ottenere quello che si cerca con un’IA richiede moltissima pratica, molto tempo, molta tenacia; e questa padronanza tecnica si aggiunge all’ingegno primigenio dell’artista o del professionista, che si è prefigurato un obiettivo o ha comunque dei criteri e delle finalità. Perdere tutto questo lavoro e questa creatività solo perché, nel mezzo, si è utilizzata un’IA, sarebbe certo uno smacco oltre che un danno.
Diversa dal concetto di paternità di un’opera, infatti, è la questione della tutela di opere prodotte dalle IA generative: come varie corti hanno notato, escludere a priori che un’opera generata da algoritmi possa essere oggetto di privative comporta una significativa lacuna giuridica, con pesanti conseguenze sociali ed economiche.
Bisogna allora ricordare che se, da un lato, un criterio per il riconoscimento del diritto d’autore sta nell’umanità dell’autore stesso, dall’altro si collocano i concetti di creatività e di originalità dell’opera, finora sempre interpretati in chiave antropocentrica.
Dati per veri questi requisiti, vari sistemi giuridici non sembrano del tutto refrattari alle istanze di tutela di opere generate tramite l’utilizzo di IA. La questione tuttavia è complessa, e la casistica attuale presenta scenari variabili.
In linea di massima, negli USA una linea di pensiero piuttosto conservatrice esclude a priori che un’opera generata esclusivamente da una IA sia registrabile. Nello stesso caso Thaler II, infatti, l’attribuzione del copyright era stata esclusa; questo, tuttavia, ad avviso di chi scrive, è dipeso essenzialmente dalla natura davvero estrema della domanda dell’attore. Diverso è stato il caso, nel settembre 2022, dell’artista Kristina Kashtanova, che ha registrato il primo fumetto realizzato con l’ausilio di IA dichiarando di aver comunque effettuato personalmente scelte editoriali e stilistiche.
Il Governo Britannico, invece, dichiara di essere “tra i pochi Paesi a tutelare le opere generate da un computer in assenza di un creatore umano.” L’autore di un’opera generata dal computer (computer-generated work, CGW) è definito tuttavia come “la persona da cui sono state prese le disposizioni necessarie per la creazione dell’opera”. E d’altro canto, lo stesso governo britannico precisa che il concetto di originalità di un’opera – fondamentale per la registrazione – è intrinsecamente legato a caratteristiche umane come la personalità, la capacità di giudizio e l’abilità tecnica, e che la legge sarebbe poco chiara e contraddittoria rispetto all’attribuzione di queste qualità ad una macchina.
L’Unione Europea sembra aver tracciato un percorso moderato e flessibile, per quanto ancora non definitivo. La Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2020 “sui diritti di proprietà intellettuale per lo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale” ha ribadito che nei casi in cui l’IA è impiegata solo come strumento per assistere un autore nel processo creativo, il quadro vigente in materia di diritti d’autore rimane applicabile; ed inoltre che le “creazioni tecniche” generate dalle IA devono trovare forme di tutela giuridica nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale per incoraggiare gli investimenti proprio per lo sviluppo di IA.
Già nel 2017, però, il Parlamento UE aveva distinto questa forma di apertura da un via libera assoluto, rimarcando appunto il principio secondo cui le creazioni intellettuali sarebbero strettamente connesse alla personalità degli autori, e le opere generate esclusivamente da macchine varie non dovrebbero essere tutelate con privative.
La via di mezzo, quindi, potrebbe essere quella di garantire tutela all’autore (umano) di opere connotate da un livello minimo di novità e di originalità che si avvalgano in una certa misura di output generati da procedimenti autonomi di IA, previo un controllo caso per caso dell’effettivo apporto umano.
Tale approccio sembra essere stato indicato anche dalla Corte di Cassazione Italiana nell’affrontare il caso Bianchieri vs. Rai. L’architetta Carla Bianchieri, infatti, aveva realizzato tramite un software L’opera “The Scent of the Night”, un fiore frattalico digitale utilizzato senza alcun riconoscimento dei diritti per la scenografia del Festival di Sanremo del 2016.
Nel caso di specie, l’eccezione sollevata dalla Rai, secondo cui l’autrice “avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer”, non poteva essere esaminata in quanto presentata solo in ultimo grado. La Cassazione, tuttavia, in un obiter alla sentenza 16 gennaio 2023, n. 1107, ha precisato che l’uso di un software nel processo creativo non esclude che l’elaborazione di un’opera dell’ingegno possa ricadere nella tutela del diritto d’autore.
Semmai, il tasso di creatività dell’opera avrebbe dovuto essere scrutinato con maggior rigore nelle fasi di merito, qualora l’eccezione de quo fosse stata proposta tempestivamente, per verificare che il contributo dovuto all’uso del software non avesse assorbito completamente lo sforzo creativo umano.
Le tematiche relative all’intersezione tra diritto d’autore e Intelligenze artificiali sono tutt’altro che ovvie. A prescindere dalle considerazioni esposte sinora, bisogna riconoscere che il panorama globale è ancora incerto e dibattuto.
La principale tendenza sembra essere quella di conservare al mondo dell’invenzione e della produzione creativa una primazia antropocentrica. Questo vale con rispetto ai dati con cui le IA vengono addestrate, ma anche alla capacità di una macchina di essere “autrice”, e alla tutela attribuibile ad un’opera finita.
Il concetto di creatività, intesa come espressione di una realtà esteriore sulla base della propria personalità, viene senz’altro destabilizzato dalla presenza di uno strumento genuinamente generativo, capace di produrre output sempre diversi riciclando con combinazioni insolite tutto lo scibile umano inserito nel suo ecosistema di addestramento.
Forse per questo tutte le sentenze ad oggi rilevanti affrontano il tema con un approccio pragmatico e prudente, ribadendo essenzialmente lo stesso concetto, riscontrabile tanto nelle pronunce statunitensi quanto europee: un’opera resta di dimensioni umane fintantoché un apporto umano risulta rilevante nella sua ideazione, produzione e utilizzo.
Al momento la speculazione sull’IA è cospicua; ad avviso di chi scrive, tuttavia, è destino auspicabile delle macchine quello di rimanere meri strumenti: quanto prima la società, e quindi i giudici e i legislatori, si renderanno conto dei limiti e delle condizioni di utilizzo di questi straordinari software, e quanto prima diventerà patrimonio comune un’etica delle intelligenze artificiali, tanto prima i numerosi dubbi che ora aleggiano sul riconoscimento di privative a chi ne fa uso verranno diradati.
Sistemate i titoli dei paragrafi: IC ha diviso in due il saggio per rendervene più agevole la lettura. I sottotitoli però risultano ora scentrati: riscriveteli, aggiungetene qualcuno e migliorerete così anche la leggibilità del testo.
Poi completate la mappa mentale del testo. La complessa questione del copyright.