Leopardi: Canto notturno

Leopardi: Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Anche questa lirica è tradizionalmente considerata parte dei canti pisano-recanatesi, perché fra Pisa e Recanti, tra il 1828 e il 1830 furono composti. La critica denomina questi canti anche “grandi idilli”, “grandi” per distinguerli dai “piccoli”, cioè dagli “idilli” composti dieci anni prima tra il 1819 e il 1820. I canti pisano-recanatesi sono ormai lontani dall’idillio, che per definizione è un breve componimento centrato sul tema della natura.

Questi canti della maturità spesso rievocano i paesaggi di Recanati, i paesaggi dell’infanzia e dell’adolescenza, sotto la luce del sole o nell’ombra notturna. I luoghi di Recanti appaiono suggestivi, cari e soprattutto rivelatori della condizione umana. Recanati è il microcosmo che può insegnare quale sia la vera natura della vita e della morte. Ma non è il contenuto autobiografico ad essere centrale per il poeta. Il canto notturno sviluppa gli stessi temi, ma nel paesaggio della steppa asiatica.

Leopardi: canto notturno

Leopardi: Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. L’analisi del testo qui proposta è tratta da Ferdinanda Cremascoli, Guida alla Scrittura nel triennio, La Nuova Italia, Firenze, 1993

Leopardi: Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.

Canzone e idillio sono le forme liriche che Giacomo Leopardi predilige. L’idillio è un piccolo componimento poetico il cui tema è il bozzetto paesistico. Alcune liriche tra le più famose di Leopardi sono idilli: L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria.

Ma fin dall’esordio della sua attività di poeta, Leopardi ama la canzone per trattare i temi civili, che gli stanno a cuore. La canzone è una delle forme illustri della poesia lirica italiana, codificata da Dante e da Petrarca. Leopardi presto si emancipa dai grandi modelli della tradizione. In All’Italia, la canzone giovanile che apre la  raccolta dei Canti, la simmetria che governa la canzone petrarchesca viene intaccata: le strofe dispari non sono identiche nella struttura alle strofe pari. Il poeta infatti varia la distribuzione degli endecasillabi e dei settenari, e lascia sciolti , cioè non rimati, alcuni versi.

Man mano che Leopardi assegna alla canzone il compito di esprimere la poesia dei moderni, il modello della tradizione petrarchesca è sempre più lontano: ai moderni, pensa Leopardi, manca ormai irrimediabilmente l’ingenuità degli antichi e per questo la loro poesia  non può che essere diversa, poesia di riflessione.

Ecco allora che nelle canzoni del 1821/22, in Bruto minore e in Ultimo canto di Saffo, il poeta tende a disarticolare lo schema delle rime, aumentando la presenza dei versi sciolti. Infine nelle grandi canzoni della maturità, dai canti pisano-recanatesi (A Silvia,  Le ricordanze, Il sabato del villaggio, etc) fino a La ginestra, Leopardi crea una sua forma originalissima di canzone: le sue strofe sono diverse per lunghezza; i suoi versi, pur sempre endecasillabi e settenari, sono distribuiti secondo uno schema vario e prevalentemente sciolti. 

Giacomo Leopardi: Canto notturno. Il testo

È vero che i canti pisano-recanatesi nascono nella situazione psicologica del ritorno a casa e sembrano dominati da un insistente autobiografismo. È anche vero che, come s’è detto, che al poeta non interessano solo le emozioni suscitate dai ricordi personali, ma l’indagine sulle leggi che governano il rapporto tra l’uomo e la natura. 

La prova che i canti pisano-recanatesi non sono solo autobiografia, è anche nel fatto che subito dopo la composizione de La quiete dopo la tempesta e de Il sabato del villaggio, Leopardi riprese i medesimi temi filosofici ne il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, in cui egli prescinde totalmente dalla rappresentazione di Recanati, ma continua nell’indagine sulle leggi generali dell’universo.

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
5. Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
10. La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
15 Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
20 Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
25 Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
30 Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
35 Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E’ la vita mortale.
Nasce l’uomo a fatica,
40 Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
45 Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
50 Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
55 Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E’ lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
60 E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
65 Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
70 Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
75 A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
80 Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
85 Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
90 Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
95 Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
100 Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.
105 O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
Quasi libera vai;
110 Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ queta e contenta;
115 E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
120 Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
125 Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo
130 A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
135 E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
140 Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E’ funesto a chi nasce il dì natale.

La voce di Carmelo Bene per il
Canto notturno.

Leopardi: canto notturno

Guida alla lettura e alla scrittura

Leopardi: Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Questionario di comprensione

  1. Ogni strofa del Canto notturno, si allinea in una progressione argomentativa assai stringente. Individuate il nodo ideativo centrale del ragionamento, ripercorrendo il suo discorso strofa per strofa. Vi diamo qualche suggerimento,
    • Nella prima strofa è stabilita un’apparente analogia tra la vita della luna e quella del pastore, che tuttavia sono lontane e opposte: sapreste definire il perché?
    • Nella seconda strofa e nella terza strofa il poeta evoca la vita umana nel suo destino di morte e nel suo dolore: un’allegoria rappresenta la fatica del vivere: quali simboli ne compongono il sistema e quale significato si può loro attribuire?
    • Nella quarta strofa il poeta torna a considerare, in opposizione alla vita umana, l’esistenza della luna: quale differenza in capacità conoscitiva esiste trala luna e l’uomo?
    • Nella quinta strofa la riflessione sul “male di vivere” s’allarga a tutti gli esseri viventi: a quale conclusione giunge il poeta?
    • L’ultima strofa è un volo fantastico tra le stelle che ribadisce il nodo ideativo centrale del canto: sapreste definirlo?

Leopardi: Canto notturno. Esercizi di composizione. Analisi del testo

  1. La modernità della canzone leopardiana. Analisi del testo significa… Anche questa lirica  è una canzone libera, la forma metrica in cui Leopardi esprime l’esigenza moderna di una poesia diversa da quella degli antichi. La poesia degli antichi è perfetta, ma ormai irraggiungibile per i moderni.  La forma della poesia moderna è un sistema nuovo in cui i diversi stilemi retorici, fonici e metrici, sintattici, si dispongono in modo originale.
    • Peculiare di questa lirica è la frequenza delle ripetizioni: individuatele, osservando la prima strofa e notando la ricomparsa di alcune parole importanti anche nelle altre strofe (ad esempio “vita”).  La trama fonica del testo è fitta di rime interne, di assonanze, di allitterazioni: sempre osservando la prima strofa, individuatene lo schema metrico, notando le rime libere; una rima chiude tutte le stanze: qual è e che significato vi pare possa avere? 

Tempo consigliato. Tre quarti d’ora per la lettura (e l’ascolto) del testo; tre quarti d’ora/ un’ora per l’esercizio 1 , legato alla comprensione del testo stesso. Dopo un giorno, prima stesura dell’analisi testuale in due ore. Rilettura il giorno dopo e correzioni (un’ora). Infine due giorni dopo rilettura definitiva e qualche correzione ancora (mezz’ora). Formato dello scritto 600/700 parole.

Perché tra una stesura e l’altra la mente si riposa e vede con maggiore chiarezza gli eventuali errori o le manchevolezza e quindi può correggere. Dovrebbe ormai esservi chiaro che almeno due stesure – meglio tre – sono necessarie per produrre un buon testo, curato in ogni particolare. E così che operano quelli che di mestiere scrivono. Non gli artisti, ma i manager del personale, i gestori di una qualche impresa, la direttrice di una scuola, i copywriter, i laureandi, … Nessuno scrive un testo e lo rende pubblico in prima stesura. Normalmente si va da uno o due giorni di tempo a tempi più lunghi e variabilissimi.

Cápitano naturalmente le situazioni in cui si ha fretta, e dunque il tempo che viene assegnato è insufficiente. Questa è la situazione scolastica: si lavora in un’unica sessione perché un compito in classe ha addirittura risvolti giuridici (!).

Per approfondire vedete la pagina del manuale Guida alla scrittura nel triennio, al capitolo L’analisi del testo-Avvertenze generali. Il manuale per i trienni liceali è di Ferdinanda Cremascoli, pubblicato da La Nuova Italia, a Firenze, nel 1993. Il manuale fu scritto agli inizi degli anni ’90, per costruirsi un curriculum di scrittura parallelo a quello delle letture in quello che un tempo era il triennio del Liceo Classico. È molto vecchio, ma qualche pagina è ancora piuttosto utile.