Leopardi: il grande provinciale. Il rapporto che Giacomo Leopardi intrattenne con la civiltà del suo tempo fu conflittuale, anzitutto con gli ambienti nobiliari (la famiglia dei conti Leopardi era aspramente reazionaria). Ma fu polemico anche contro i liberali, idealisti e cattolici. Leopardi infatti maturò convinzioni materialiste, proprie del filone lucreziano del pensiero filosofico. Nella cultura italiana questa corrente materialista è minoritaria, ma originale e vitale nei secoli.
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798, quando le Marche erano parte dello Stato Pontificio. I conti Leopardi erano una famiglia patrizia che viveva della rendita delle sue proprietà terriere. Il conte Monaldo aveva creato una grande biblioteca, che ancor oggi si può visitare nel palazzo della famiglia Leopardi. Come molti gentiluomini, affidava la cura del patrimonio domestico a sua moglie e ai suoi dipendenti. Coltivava i suoi interessi di antiquario e i suoi gusti letterari tradizionalisti. Avversava le nuove idee politiche che venivano dalla Francia rivoluzionaria.
Giacomo Leopardi ebbe una formazione letteraria classicista. Studiò nella biblioteca paterna, seguito dai precettori ecclesiastici e da suo padre. Imparò il latino. Presto, da solo, imparò il greco, l’ebraico e alcune lingue moderne. Sviluppò giovanissimo una sua teoria della poesia classica e dei suoi rapporti con quella moderna.
Studiò le idee dei filosofi moderni illuministi e presto entrò in conflitto con gli usi e la mentalità della sua famiglia, bigotta e chiusa a qualunque sollecitazione nuova. In questo ambiente moralista e bacchettone assunse posizioni filosofiche materialiste e una crescente insofferenza verso la famiglia e Recanati. Ormai desiderava solo di andarsene.
Gli riuscì infine nel 1825, dopo varie vicende. Lasciata Recanati, si recò a Milano dove lavorò presso l’editore Stella per mantenersi. Si trasferì poi a Bologna ed infine nel 1827 a Firenze. Ma tra il 1828 e il 1830 fu costretto a ritornare a Recanati. Era difficile mantenersi indipendente fuori casa, angustiato per di più da una salute malferma. Infine grazie all’aiuto di alcuni suoi amici partì per Napoli dove visse gli ultimi sette anni della sua vita. Morì nel 1837 a soli 39 anni.
Ecco un estratto dal manuale per i licei di Alberto Asor Rosa, “Giacomo Leopardi”, in Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze,1972
Leopardi: il grande provinciale. (Giacomo Leopardi) aveva appena diciassette anni quando crollò il dominio napoleonico in Italia, ed egli, uscito da famiglia nobile e di orientamento reazionario, salutò il fallimento del tentativo di Gioacchino Murat di salvarsi il regno con una “Orazione Agli Italiani” in occasione della liberazione del Piceno (1815), dove la restaurazione dei sovrani viene definita la «fraterna amministrazione ristabilita», «Liberale Governo richiamato all’esercizio delle sue funzioni» La sua vita trascorre dunque durante il periodo più oscuro della ventata antirivoluzionaria seguita al Congresso di Vienna. Avvenimento che egli poté seguire e valutare da un punto di osservazione particolarmente esasperato e peggiorativo. La Recanati, infatti, dei suoi anni giovanili sintetizza tre caratteri, che, sia pure per diversi motivi, dovevano fortemente contribuire alla formazione di quella sua mentalità e psicologia, in cui il rapporto con il mondo e con la storia è così difficile e tormentato. Recanati è anzitutto una cittaduzza di provincia, chiusa al traffico delle idee rinnovatrici, che vi giungono infatti un po’ di riflesso e come deformate o appannate dalla difficoltà di superare il vuoto storico, che c’è, ad esempio, fra la Milano post-illuminista e post-napoleonica, sempre fervidamente impegnata nelle attività civili e letterarie e nei propositi di trasformazione e rinnovamento della realtà, e questa dimensione statica, anzi, meglio straordinariamente rallentata dell’esistenza umana, che lì si esprime; in secondo luogo, è città della provincia pontificia, dove i difetti propri della città di provincia vengono centuplicati dalla più diretta osservazione di uno stato fondato palesemente sullo stravolgimento dei più elementari diritti umani alla libertà e alla conoscenza, tanto pronunciato da far dubitare che esista una iniziativa umana capace di rovesciare in meglio i fondamenti di tale ingiustizia; infine, Recanati è ricettacolo e simbolo insieme della condizione e dei rapporti esistenti all’interno della famiglia Leopardi, che come in un microcosmo riproduce tutti gli elementi di quella sollecitazione degli affetti e al tempo stesso di quella loro drammatica costrizione che soltanto una vita provinciale, cioè appartata e riflessiva, spontaneamente provoca e determina. Quando si tenta di capire la natura del rapporto che Giacomo Leopardi intrattenne con la civiltà del suo tempo, occorre rammentare che, per un profondo paradosso, che cercheremo di spiegare, egli, che è il poeta nostro dal linguaggio più universalmente umano dell’intero secolo, nasce in realtà da un’esperienza provinciale, e solo da questa trae i succhi e i fermenti per scavalcare tutti gli impacci e i limiti del clima romantico italiano, e collegarsi ad una riflessione più vasta, che è quella della cultura poetica europea di quel periodo. Leopardi come grande provinciale, come voce della provincia italiana (…).
Può essere questa una tesi che a prima vista sorprende e disorienta; ma si pensi attentamente al contenuto dei miti leopardiani: ci si accorgerà che essi sono indissociabili fin dall’inizio dalla polemica contro le «cose cittadine» e contro tutto ciò che egli chiama il «moderno», la «vita» , la « civiltà», e dalla identificazione della poesia con la natura, quella natura che la provincia conserva e tutela assai più della dissipazione dei sentimenti, che la vita moderna comporta. È un fatto che, quando Leopardi esce da Recanati, la sua ottica è già completamente formata, e questo spiega sia la sua sostanziale non partecipazione agli avvenimenti politici del periodo sia la sua sarcastica critica nei confronti delle posizioni liberali allora dominanti. Diciamo allora che la storia per Giacomo Leopardi coincide con Recanati; anche se in virtù di un processo tormentatissimo e geniale, Recanati diventa la poesia modello di una condizione umana universale. (…) Nel giugno del ’27 Leopardi si reca a Firenze, dove si accosta al Circolo del Vieusseux e dell’« Antologia», umanamente accolto da personaggi come Gino Capponi, Pietro Colletta, lo stesso Vieusseux, ecc. Fra il ’31 e la data della sua morte vive a Napoli insieme con l’amico Antonio Ranieri. Sia a Firenze che a Napoli gli ambienti intellettuali toccati dal Leopardi erano essenzialmente moderati e cattolico-liberali. Leopardi ebbe con essi, al di là delle affettuosità personali, rapporti difficilissimi, di cui sono testimonianza fra i Canti, la “Palinodia al marchese Gino Capponi” (1835) e “I nuovi credenti” (1836), virulenti attacchi contro l’ideologia romantica nella sua accezione politica e religiosa. Leopardi, infatti, è totalmente indifferente al contenuto ingenuamente progressista del liberalismo italiano contemporaneo: egli non riesce a capire come si possa fare una massa felice di una moltitudine d’individui irrimediabilmente infelici; le miserie estreme dello stato mortale, — la vecchiezza e la morte, ad esempio – non possono essere modificate da un programma d’iniziativa politica; esse, infatti, sono prodotti di natura, e la natura non è soggetta ai mutamenti della storia. Dove l’estraneità e l’indifferenza di Leopardi nei confronti dello storicismo progressista liberale diventa vera e propria ostilità e polemica, è nei punti in cui i liberali si sforzano di tradurre la loro ideologia in un progetto pratico di direzione sulle masse sia colte sia popolari e per far ciò non si peritano di dare un contenuto direttamente religioso alla loro promessa o speranza di un futuro migliore. In tal modo, il cattolicesimo riesumato rappresenta ai suoi occhi un vero e proprio mortificante passo indietro rispetto ai lumi che il secolo filosofo, il Settecento, aveva saputo accendere intorno alla vera, coraggiosa conoscenza della realtà esterna e della condizione dell’uomo; una specie di reviviscenza di oscurantismo medievale, che, mentre promette all’umanità illusori benefici e consolazioni, ne ottenebra le capacità intellettive e la respinge nel buio della fede. Come, dunque, dal punto di vista della psicologia e della mentalità, Leopardi si erge campione della bella naturalità provinciale contro la corruzione cittadina, che avvilisce la forza dei sentimenti e conduce ad un gretto predominio della ragione, così dal punto di vista della cultura e delle idee, egli rifiuta la logica dominante delle «magnifiche sorti e progressive» (La ginestra) e si fonda sulle punte più avanzate, materialistiche e sensistiche, dell’ideologia illuministica, ma rovesciandone il senso e la direzione proprio come risulta dal confronto che egli ne fa con il progressismo liberale e cattolico.
Guida alla lettura
Leopardi: il grande provinciale. Esercizi di comprensione
- Riscrittura. Anzitutto capire bene. Il testo di Alberto Asor Rosa non è facile. È caratterizzato infatti da frasi molto lunghe e complesse. Riscrivete perciò il testo agendo sulla lunghezza delle frasi. Ricordate che un paragrafo deve essere tra le 150 e le 300 parole, una frase non più di 25 parole.
- Scaletta. Lavorando di riscrittura aggiungete anche dei sottotitoli alle varie parti: in questo modo, se lavorate bene, otterrete la scaletta del testo.
- Apparato argomentativo. Questo brano è tratto da un manuale scolastico in uso negli anni Settanta. L’autore era un noto professore universitario. Non si limitò a passare delle informazioni, ma presentò anche la sua interpretazione.
Qui Asor Rosa delinea la figura di Leopardi come “grande provinciale”. Cercate anzitutto di definire perché l’aggettivo “grande” è indispensabile per definire la tesi su Leopardi che emerge in questo brano. Riassumete poi le motivazioni che costituiscono l’argomentazione del testo..
Altro
La rottura con gli “amici di Toscana”, tutti cattolici e liberali, laddove “il provinciale” Leopardi nel pensiero si finge l’infinito e l’impossibile.