«Chi vuol strappare il cuore a una democrazia, attacca i fatti. Questo fanno i nuovi autoritarismi nel mondo in cui viviamo»: il giudizio di Maria Ressa, giornalista filippino-americana Premio Nobel per la Pace 2020, è perfetto preambolo al Rapporto Internazionale sulla Libertà di Stampa, World Press Freedom Index, reso pubblico, a ridosso di Capodanno, da Reporter Senza Frontiere. Leggi di più
Rsf, organizzazione di difesa dei media e del diritto all’informazione con base a Parigi, diffonde dal 2002, un questionario a giornalisti, avvocati, docenti, ricercatori di 180 Paesi, per raccogliere dati sull’accesso alla comunicazione indipendente, la repressione dei governi, le censure, i ricatti di lobby criminali, politiche o economiche, stilando infine una «classifica», dalle nazioni considerate, da chi risponde, più libere, a quelle relegate indietro.
La prima, sconfortante, notizia viene da Hong Kong dove la Cina arresta giornalisti, chiude testate, intimidisce colleghi, reporter, attivisti. Hong Kong, a lungo animata da vivaci dibattiti, precipita dal diciottesimo posto in classifica a un tragico ottantesimo, sulla falsariga di Pechino, relegata al numero 177 su 180, davanti solo Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
Che il presidente cinese Xi Jinping, alla vigilia del Congresso del partito comunista, non molli la censura, lo provano gli arresti del 29 dicembre, alba dell’anno della Tigre, di sei colleghi del giornale Stand News, redatto in cinese tradizionale. In galera il direttore Patrick Lam Shiu-tung, il capo degli esteri Chung Pui-kuen, quattro ex membri del consiglio direttivo Denise Ho Wan-see, Margaret Ng Ngoi-yee, Chos Tat-chi, Christine Fang Meng-sang. Interrogato, poi rilasciato, Ronson Chan Long-sing, presidente dell’Associazione Stampa di Hong Kong.
Il podio va ai Paesi scandinavi, prima Norvegia, poi Finlandia, Svezia e Danimarca, quinta Costarica. Gli Stati Uniti languono al numero 44, Rsf elogia l’amministrazione di Joe Biden dopo gli assalti ai media del predecessore Donald Trump, ma pesano i 400 cronisti aggrediti durante pubbliche manifestazioni e i 130 detenuti, dopo scontri, dalla polizia. È uno dei dati che influenzano il World Press Freedom Index, le intimidazioni contro gli operatori dell’informazione, e un Paese in cui la libertà di stampa è protetta dal Primo Emendamento alla Costituzione con rigidità, non sale in classifica.
L’Italia, numero 41, è in giallo, sui cinque colori scelti come tavolozza di libertà, Bianco=Buona, Giallo=Abbastanza Buona, Arancione=Problematica, Rosso=Cattiva, Nero=Pessima. A non portare il nostro Paese in posizione migliore, ma «abbastanza buona», che descrive in modo adeguato la situazione attuale, tra persistenti conflitti di interesse, lobby politiche, media populisti legati a gruppi di pressione, sono i movimenti No Vax e No Greenpass, con le violenze di piazza contro i reporter e le calunnie e la disinformazione online sul Covid-19. Scrive il rapporto Rsf, con schiettezza ignorata da tanti in Italia, «in generale i media italiani hanno lavorato in libertà durante la pandemia…ma il problema maggiore per i giornalisti sono i negazionisti del coronavirus – schiera che raccoglie guerriglieri urbani, attivisti «no mascherine», neofascisti, teppisti, «anarchici» e infiltrati dalla criminalità comune – che di norma minacciano e attaccano fisicamente i reporter».
A peggiorare la situazione in classifica per l’Italia non è dunque la censura – come si ostinano a dire online i leader intellettuali No Vax No Greenpass – ma la loro stessa violenza verbale e no, oltre «ai venti colleghi italiani sotto scorta per le minacce della mafia», da Roberto Saviano a Federica Angeli, «e agli attacchi ai comizi fascisti e 5 Stelle». Il World Press Freedom Index conferma così le denunce anticipate contro la disinformazione No Vax, No Greenpass dall’Italian Digital Media Observatory dell’Unione Europea, con le ricerche dei team NewsGuard e Pagella Politica www.idmo.it .
Male l’Iran, n. 174, Cuba 171 e Arabia Saudita 170, la Russia degli oligarchi di Putin, con un fin generoso 150, malgrado «la crescente pressione sui media liberi ormai dal 2012 e l’arresto di Navalny», l’India nazionalista di Modi 142, con proteste ufficiali del governo contro il ranking Rsf, Israele al n. 86 ma meglio della Palestina 132. L’Ungheria di Orban indietro al n. 92.
I critici del Rapporto Internazionale sulla Libertà di Stampa Rsf lamentano la mancanza di trasparenza sui questionari mandati a personalità selezionate in proprio, scontando la differenza tra culture che tendono a promuovere in pubblico i propri valori (Nord Europa) e culture che tendono a criticarli (Europa Latina), e certo non si tratta di precisione da cronometro in una finale olimpica. Ma non difendere il giornalismo libero a tutti i costi significa condannare a morte la democrazia, come conclude saggia la Nobel Ressa da Harvard: «Sembrava un sollievo l’elezione di Biden, ma il sistema non cambia, Facebook – ha rivelato il Wall Street Journal – lascia liberi i post della ultradestra per far profitti… per rimediare occorre che le piattaforme tecnologiche, il giornalismo e i cittadini crescano insieme. La tecnologia ha “creato il problema”, deve ora rimediare: invece non guarda all’interesse generale, ma solo a quello degli azionisti di Borsa».