Il dramma delle madri dei “martiri di Allah”. Questa recensione di Andrea Cauti è pubblicata su agi.it il 14 aprile 2017. 527 parole. Lettura ⏱ 2′
E’ arrivato nelle sale (35 del circuito The Space e Uci Cinema) un film importante: ‘Mothers’ di Liana Marabini. Non si tratta di una pellicola che segnerà la storia del cinema, ma è una di quelle piccole opere la cui forza va ben oltre il valore artistico. Lo ha scritto, diretto, prodotto e distribuito Liana Marabini, regista cattolica nota per la originale intuizione, mostrare il lato glamour della Chiesa. Dopo aver fatto film sul monaco Mendel (‘The Gardener of God’) e su Pio XII (‘Shades of Truth’), adesso la regista tocca un tema attualissimo e doloroso, colpevolmente trascurato dal cinema: il dramma dei genitori dei foreign fighters, i ragazzi occidentali che partono per unirsi all’Isis e diventare ‘martiri di Allah’.
La fede e la vita per superare la tragedia
Con un linguaggio semplice, mettendo al centro della narrazione una seduta psicologia di gruppo da una psicologa (Victoria Zinny) che ha vissuto un dolore fortissimo per la perdita della figlia, in ‘Mothers’ vengono raccontati i drammi di due madri, una cattolica (Mara Gualandris) e una musulmana (Margherita Remotti), i cui figli sono andati a unirsi ai jihadisti. Tra angosce, speranze, fede e disperazione, le due donne riusciranno ad accettare la situazione e l’invitabile epilogo, aggrappandosi l’una alla fede e l’altra a una nuova nascita.
Girone e Lambert ‘vittime’ dell’Isis
Nel film della Marabini, però, non si parla solo delle mamme. Il terrorismo, la jihad, l’Isis, i foreign fighters sono al centro del film anche attraverso altri personaggi molto forti. A partire dall’imprenditore emiliano (Remo Girone) la cui figlia ha seguito un militante dell’Isis per amore, per continuare con un reporter (Christopher Lambert) in crisi dopo aver ucciso un uomo, un terrorista che stava minacciando un bambino. Infine c’è anche un’artista schiacciata dal senso di colpa di non essere partita con l’aereo con marito e figlio, poi abbattuto dai terroristi. E proprio il senso di colpa è il motore del film che Liana Marabini utilizza come trade union tra le varie vicende personali: di chi sente di aver sbagliato l’educazione dei propri figli a chi si pente di averli trascurati, da chi sa che uccidere è sempre una tragedia (anche se è una scelta inevitabile) a chi pensa che sia ingiusto essere ancora in vita quando i propri cari se ne sono andati.
Marabini: tutti i genitori soffrono allo stesso modo
Caratterizzato da molti dialoghi e dalla forza espressiva degli attori, ‘Mothers’ è un film appassionato fatto da chi sente di dover mandare un messaggio in un periodo in cui il primo pensiero è il box office. Non a caso la regsta ha spiegato così il suo film: “Mi sono ispirata a storie vere. Ho solo cambiato i nomi. I miei studi di psicanalisi uniti alla mia fede profonda – ha aggiunto – mi hanno permesso di gettare uno sguardo sull’anima delle persone colpite da questo fenomeno. Ho visto giovani in cerca di identità e di riconoscimento, ho visto genitori dilaniati dalle scelte dei figli. Genitori musulmani e cristiani: tutti soffrono allo stesso modo – ha aggiunto ancora la Marabini -. Si sentono traditi e superati dai fatti, sono sopraffatti dall’incomprensione e si domandano perché i figli hanno fatto quella scelta così radicale”.