Quanto adoro il tempo e i suoi paradossi.
Io e voi siamo nello stesso posto ma fuori sincrono. Del resto, quando il film uscirà in sala anche da noi, apparterrà al presente per gli spettatori italiani, ma al passato per gran parte del pubblico di altri paesi dove il film sta venendo proiettato adesso, cioè nel mio presente, ovvero nel vostro passato. Andare a vedere Oppenheimer in Italia sarà quindi come fare un piccolo viaggio nel tempo a ritroso. Ma facciamola ancora più complicata e teniamo conto che il film ha la sua origine nel 2005, quando Sam Mendes ha avuto per primo l’idea di adattare la biografia scritta da Kai Bird, American Prometheus. Per Mendes, nel 2005, Oppenheimer era un futuro che non si è realizzato, mentre oggi, nel 2023, fa parte del suo passato remoto. Nel 2005, invece, Nolan stava girando Batman Begins e non aveva la minima idea che nel suo futuro ci sarebbe stato Oppenheimer. E non ci sarebbe stato se, nel suo futuro, non si fosse concretizzato l’enorme successo della trilogia Cavaliere Oscuro e se Nolan non avesse sfruttato questo successo per iniziare a esplorare un tema che lo appassionava da sempre, quello del tempo, in film come Inception, Interstellar, Dunkirk e, ovviamente, Tenet. E proprio a Tenet e al fatto di aver scritturato Robert Pattinson (un attore diventato popolare per il discutibile ruolo di Edward Cullen, il vampiro luminoso della saga di Twilight, diventato nel tempo uno dei maggior talenti della sua generazione) si deve il fatto che Nolan abbia poi girato Oppenheimer, visto che è stato Pattinson a consigliare il libro di Bird al regista e a suggerirgli di farne un film.
Ovviamente, il libro di Bird non sarebbe mai esistito se nel passato i coniugi Oppenheimer non si fossero amati e non avessero concepito Julius Robert, se lui non si fosse appassionato alla “nuova fisica” (quella quantistica), se Hitler non avesse mai invaso la Polonia, se Heisenberg e i nazisti non fossero stati a un passo da scindere l’atomo e se, in virtù di questo, gli USA non avessero dato il via al progetto Manhattan, mettendone proprio Oppenheimer a capo. E se Hiroshima e Nagasaki non fossero state spazzate via dalla faccia della terra. Quindi, per assurdo che possa sembrare, per far sì che Oppenheimer esista oggi nel nostro presente, c’è stato bisogno che scoppiasse una guerra mondiale, che due ordigni atomici uccidessero almeno trecentomila persone, che Kai Bird decidesse di diventare un (bravo) biografo e storico, che Bill Finger e Bob Kane creassero Batman e che Stephenie Meyer scrivesse la saga di Twilight.
PUBBLICITÀ
Come detto, adoro il tempo e i suoi paradossi.
Ma perché mi sono lanciato in una così arzigogolata introduzione?
Perché, esattamente come tutte le pellicole recenti di Christopher Nolan, anche Oppenheimer riflette sul tempo e sulla sincronicità e lo fa attraverso una grammatica visiva e narrativa estremamente complessa e stratificata che racconta la storia di un uomo (“lineare” come può essere la vita quando osservata da un punto di vista postumo, s’intende) in maniera non lineare, continuando ad andare avanti e indietro lungo il suo corso, per contrapposizioni tematiche ed emotive, in un gioco di flashback e flashforward atti a svelare o nascondere la realtà.
E lo fa tenendo come unico punto di vista quello dell’uomo stesso, permettendo allo spettatore di vedere solamente le cose vissute, dal suo punto di vista fisico ed emotivo.
Per questo motivo, ho deciso di scrivere la mia recensione seguendo lo stesso principio, non procedendo in maniera lineare ma saltellando avanti e indietro rispetto alla mia esperienza di visione e raccontando le cose esclusivamente dal mio punto di vista, del tutto personale e soggettivo.
Cominciamo.
DOPO UN’ORA E TRENTA DALL’INIZIO DEL FILM
Sono seduto al centro della sala, nella porzione superiore e, nonostante i posti siano comodi, inizio ad avvertire un lieve disagio sul mio sedile. Sullo schermo, scorrono le immagini del Trinity Test, la prima detonazione di una bomba atomica nella storia dell’uomo. Le fiamme riprese da Nolan mi bruciano le retine degli occhi e io distolgo per un momento lo sguardo. Oziosamente mi chiedo come il film possa proseguire per l’ora e mezza restante, visto che il climax narrativo è posto al centro del film. Devo dire di essere lievemente deluso. Non dal film in quanto tale, che fino a quel punto mi è parso straordinario e caratterizzato da un ritmo invidiabile, quanto della resa a schermo del primo test nucleare, che dal teaser e dai trailer che avevo visto sembrava essere incredibilmente spettacolare e l’apice narrativo di tutto quanto ma che, nel film finito, ha un peso molto più relativo. È uno scena indubbiamente ben girata, con molteplici echi al cinema di Stanley Kubrick (da Il dottor Stranamore a 2001: odissea nello spazio) con cui Nolan continua a confrontarsi da qualche decennio a questa parte, è ed un momento emotivamente impattante, anche per merito del lavoro straordinario fatto sul suono, ma non è spettacolare e insistita come immaginavo. Forse non è quello il cuore nevralgico del film per Nolan. Forse, devo cercare da un’altra parte.
VENTI MINUTI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Roma è assolata e io sto in moto, cercando di non fare tardi per l’inizio della proiezione del nuovo film di Nolan. Sono emozionato perché ogni film del regista inglese ha rappresentato per me una sfida intellettuale e artistica, e mi ha spinto a riflettere e a mettere in discussione non solo la mia idea di cinema, ma anche la maniera in cui guardo alla realtà, al tempo e ai rapporti tra le cose e le persone. Un nuovo film di Nolan, per me, non significa solamente “un nuovo film” ma, soprattutto, una nuova discussione, un nuovo percorso, un nuovo punto di vista.
DOPO DUE ORE DALL’INIZIO DEL FILM.
La prima porzione del film mi ha lasciato frastornato per la complessità della sua grammatica e la sua densità visiva. Ora però, mi sto annoiando e non capisco bene se è colpa mia, ormai disabituato a guardare film così lunghi senza una pausa, o del film, che dopo l’apogeo nucleare del test Trinity, fatica a ritrovare un vero e proprio fuoco narrativo. Mi sembra che a schermo continuino a esserci solo attori che parlano e parlano e parlano. Va detto che sono tutti molto bravi a farlo e che i personaggi, che apparivano così definiti nella prima parte, stanno cominciando a mostrarsi in maniera diversa, rivelando qualcosa che prima era celato.
Continuo a guardare, fiducioso. Ma un poco stanco.
VENTITRÉ ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Sono in sala a guardare Memento. Siamo in tre in totale. Ho letto del film su una rivista straniera e mi ha incuriosito. La storia è un classico della narrativa noir, neanche particolarmente rielaborato. La forma però, è anomala. Il film gioca splendidamente con le informazioni, mostrandone alcune in anticipo per poi sovvertirle con il racconto degli eventi del passato. Cerco di capire se Christopher Nolan è un regista molto intelligente e consapevole, che intenzionalmente sta scardinando le regole di un genere, usando un montaggio brillante, o solamente un furbetto che ha trovato una forma accattivante per nascondere i limiti di una narrazione sin troppo scontata. Quando esco, il film mi è piaciuto ma il dubbio mi resta.
DOPO TRENTA MINUTI DALL’INIZIO DEL FILM.
Sono completamente esaltato. Oltre al solito assalto sonoro tipico dei film di Nolan (ma questa volta, rispetto a Tenet, i dialoghi riescono a emergere), la ricercatezza visiva, la naturalezza con cui viene portata a schermo, la complessità ma, allo stesso tempo, la cristallina chiarezza del montaggio, mi fanno pensare di stare assistente a quella che sarà la migliore prova del regista.
Cillian Murphy poi, è magnetico nella sua rappresentazione, a mezza via tra il genio e la rockstar, di Oppenheimer. Dannazione, voglio quel cappello.
DOPO DUE ORE E VENTI DALL’INIZIO DEL FILM.
Non avevo capito niente. Il film non finisce con il Trinity Test: il film inizia con il Trinity Test. Da quel momento in poi, Nolan gioca a ribaltare tutto quello che ha raccontato fino a quel punto, introducendo elementi che prima non mi aveva mostrato, rivelandomi retroattivamente la natura di quanto mostrato in precedenza e il vero volto dei protagonisti. Anche l’uso del bianco e nero (meraviglioso nella fotografia di quel genio di Hoyte Van Hoytema), che nella prima parte mi era parso piuttosto didascalico, non sempre coerente e utilizzato semplicemente per separare i vari piani temporali, ora assume un senso del tutto diverso, sia in termini estetici che in termini narrativi, perché questo film non è solamente una biografia storica ma è anche un vero e proprio noir e il bianco e nero è il colore del noir.
DICIASSETTE ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Ho appena visto The Prestige. Ero entrato in sala scettico perché, dopo Memento, quel regista che mi aveva molto incuriosito aveva saputo solamente partorire un “film-biglietto da visita” come Insomnia, una di quelle pellicole che devi fare per dimostrare a Hollywood di sapere gestire una grande produzione con qualche divo e un film commerciale, interessante ma non pienamente riuscito dal mio punto di vista, come Batman Begins. The Prestige però è un’altra cosa. Il tema dell’inganno, e di cosa è reale e cosa no, torna prepotentemente nella pellicola e viene esplorato tanto dalla storia, quanto da come quella storia è portata in scena. È lo stesso approccio di Memento ma fatto con altri mezzi e maggiori capacità. Mi sono tolto il dubbio: Nolan non è un regista furbetto e fortunato. È un regista consapevole e ha delle cose non banali da dire. E le dice meravigliosamente.
TRENTA MINUTI DOPO LA FINE DEL FILM
Sono fuori dal cinema. Ho messo il casco e sono in sella alla moto, ma non riesco ad andare via. La testa è ancora piena del film e mi chiedo, con una certa preoccupazione, se riuscirò a trovare una maniera di scriverne, rispettandone la complessità e, allo stesso tempo, la chiarezza. Mi chiedo anche se sia il miglior film di Nolan e concludo che è, sicuramente, quello in cui è riuscito meglio a combinare il suo approccio cerebrale e matematico a un vero cuore emotivo. Ed è anche il suo film in cui gli attori emergono meglio. Tutti, anche quei volti piuttosto noti che, pur di partecipare al film di Nolan, hanno accettato una parte da quasi comparsa. Uno in particolare però, brilla su tutti e non è Cillian Murphy (che pure è bravissimo) ma Robert Downey Jr..
Viene quasi da piangere a pensare che un attore così capace abbia passato gli ultimi quindici anni a interpretare personaggi così poco significativi. Va bene, Tony Stark gli avrà anche dato la vera ricchezza e la popolarità, ma è con film come questo, con interpretazioni come queste, che Robert Downey Jr. si consegna all’olimpo della recitazione.
TREDICI ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Guardo Inception e non mi piace. Penso che Nolan abbia la fantasia di un geometra poco fantasioso e che raccontare il sogno non sia il suo.
DODICI ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Riguardo Inception e mi dico di essere stato un cretino ad averlo valutato negativamente. Il fatto che Nolan decida di raccontare il subconscio come fosse il quartiere dell’Eur ha perfettamente senso nella sua visione della mente umana. Il film poi, riesce a essere allo stesso tempo un action, un noir, un thriller e un film d’autore che tocca temi profondi ed esistenziali. Come cazzo ha fatto a non piacermi la prima volta che l’ho visto?
NOVE ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Esco dalla proiezione di Interstellar. Sono per metà ammirato, per la solida costruzione teorica del film, per il suo straordinario impatto visivo, per il meraviglioso sound design. E, per metà, sono incazzato, per la storia dell’amore come forza dell’universo capace di viaggiare attraverso il tempo e lo spazio. Kubrick non lo avrebbe mai fatto. Il film mi piace solo a metà e mi dico che non cambierò mai idea. Spoiler: cambierò idea.
SEI ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Sono volato sino a Londra per vedere Dunkirk sullo schermo iMax del BFI. Non mi spiego nemmeno io perché, visto che non metterei mai Nolan tra i miei registi preferiti di ogni tempo.
Quando esco dal cinema, rivedo questa posizione. Il film è una vera e proprio epifania per me e il suo ragionamento sul tempo e la sincronicità mi sconvolgono.
TRE ANNI PRIMA DELL’INIZIO DEL FILM.
Ho appena visto Tenet, nonostante la pandemia e la paranoia mondiale. Mi rendo conto che questo James Bond temporale avrà parecchi problemi rispetto al largo pubblico ma io mi ci sono perso dentro. Passo il successivo mese a pensarci, a parlarne, a scriverne. Non mi si fila quasi nessuno.
TRE ORE DALL’INIZIO DEL FILM.
Scorrono i titoli di coda.
Sono ancora frastornato dal “momento Nolan”, quell’attimo epifanico in cui tutti i pezzi del suo cinema convergono in un solo punto e si incastrano l’uno nell’altro, rivelando la natura più profonda della sua narrazione e la “realtà” del film. Mi viene da pensare che non sia più una cosa che riguarda i suoi singoli film ma tutta la sua cinematografia. Che ogni sua pellicola sia un momento che si muove nel tempo e nello spazio per congiungersi con tutte le altre, fino a deflagrare nello stesso punto e che quel punto sia Oppenheimer. Non è il suo film che preferisco (quello credo che resterà sempre Dunkirk) ma non ho dubbi che sia il suo film migliore e la pellicola summa del suo cinema. Ma, per essere tale, ha avuto bisogno di tutte le altre che ci sono collassate dentro, come la luce collassa in buco nero. Ecco, Oppenheimer è il buco nero del cinema di Nolan: una infinita forza attrattiva che ingloba tutti gli altri suoi film e li proietta in una dimensione che, al momento, non ci è dato conoscere.
ADESSO.
Credo di aver finito la recensione, se un pezzo del genere, pensato come l’ho pensato, si possa mai definire come “finito”. Potrei andare avanti per ore, sezionando l’attimo e, se fossi Nolan, probabilmente lo farei. Ma sono solo un umile critico, e quindi la chiudo qui e la invio. Senza neanche rileggerla. Sapendo che ormai questo testo appartiene al mio passato, per quando sia destinato al futuro. Mi permetto però una breve sintesi: andate a vedere Oppenheimer. Andate a vederlo al cinema. Andate a vederlo nel cinema migliore che riuscirete a trovare. E magari, in originale.
Avete di fronte una recensione.