La zona della valle alpina dell’Ossola iniziò il suo processo di industrializzazione in una fase
più tardiva rispetto al Verbano. Nella fase storica precedente, l’economia locale si basava
perlopiù sulle attività agrosilvopastorali a livello di nucleo familiare, con un carattere
essenzialmente di sussistenza. Si può individuare tuttavia anche una certa attitudine al
commercio come vocazione storica, a partire già dal Medioevo: Domodossola è infatti sempre
stata il punto di incontro e di snodo dei commerci tra Pianura Padana ed Europa del Nord,
attraverso il valico del Sempione e la Svizzera; questa posizione favoreggiata ha permesso lo
sviluppo di un imprenditorialità commerciale “di servizio, supporto e appoggio” che hanno
affiancato la crescita economica anche nel successivo periodo industriale.Leggi di più
Cave
La prima attività di carattere protoindustriale presente nella zona, che pose pertanto le basi per
il successivo sviluppo, fu quella estrattiva, grazie alla presenza sul territorio montano di
numerose cave. Oltre alla Cava di Candoglia, da cui fu estratto anzitempo il marmo del Duomo
di Milano, nella zona si potevano individuare nel 1830 trentanove cave: dal granito nella zona
del Montorfano, alle cave di beola di Trontano o Vogogna, ai marmi di Ornavasso, Crevola, o,
appunto, Candoglia, fino alle miniere di ferro e d’oro. Il settore delle cave, tuttavia, pur
rappresentando una importante fonte economica per il territorio, non ha mai assunto le
dimensioni necessarie a farne una realtà veramente industriale; le imprese estrattive non erano
che piccole aziende familiari con un massimo di 6 addetti.
Nella seconda metà dell’Ottocento, a questa lavorazione tradizionale della pietra si affiancò la
prima industria siderurgica e meccanica dell’area, che accompagnò anche lo sviluppo del tessile
nel Verbano come area di seconda industrializzazione.
Il ferro e i Ceretti
L’estrazione e la lavorazione del ferro erano attività molto antiche in Ossola, e fu probabilmente
anche questa base tradizionale radicata nel territorio che permise alla famiglia Ceretti di
sviluppare proprio in questo ambito la prima attività industriale della zona. Si era già accennato
come la prima industria sul territorio del VCO fosse stata proprio la ferriera di Pietro Maria
Ceretti, commerciante di ferramenta e fabbro intrese, che, collaborando con diversi ossolani
proprietari di miniere, aveva avviato a inizio Ottocento questa produzione con la costruzione di
due altiforni in Ossola. L’acciaieria crebbe durante tutto il secolo, dimostrando un forte ruolo
di “tenuta” come unica realtà industriale presente, diventando una vera e propria industria
siderurgica. Nel 1892, due Ceretti si staccarono dall’azienda familiare e fondarono una piccola
bulloneria con il nome di “Società Industriale Siderurgica Meccanica e Affini” che si svilupperà
anch’essa in acciaieria con il nome di “S.I.S.M.A”. Le due industrie dei Ceretti arriveranno a contare, nel 1960, rispettivamente 1000 e 1600 dipendenti, dando anche lavoro alle piccole
aziende locali facenti parte dell’indotto. Il settore siderurgico si è incentrato poi sulla
produzione di acciaio tramite la lavorazione di ferroleghe, in particolare il ferro-silicio, o per
fusione di rottame.
Energia elettrica
Nel Novecento, l’industria siderurgica e metallurgica ossolana decolla grazie a due fattori
principali: l’utilizzo dell’energia elettrica e lo sviluppo della rete ferroviaria, con il traforo del
Sempione.
In seguito alla innovativa iniziativa di Carlo Sutermeister, a Intra, anche altri imprenditori della
Provincia colsero e sfruttarono il potenziale dell’utilizzo dell’energia idroelettrica: il
Sutermeister, cotoniero verbanese, il Ceretti, siderurgico ossolano, e i fratelli Calderoni,
industriali meccanici cusiani, furono tra i primi imprenditori italiani ad utilizzare l’energia
idroelettrica per le proprie industrie.
Questa disponibilità di realizzare bacini idroelettrici e sfruttare in loco sorgenti importanti di energia, non ancora trasferibile lontano per mancanza delle necessarie tecnologie, venne sfruttata in due settori importanti che furono la siderurgia prima e la chimica poi.
Negli anni successivi vennero costruiti, soprattutto in Ossola, numerosi impianti di produzione di energia, utilizzata per l’illuminazione pubblica e per le industrie; inizialmente furono costruiti su iniziativa di società locali, ma nel corso del tempo diverse grandi società esterne, come la Dinamo di Milano o la Edison, premettero per ottenere concessioni di sfruttamento idroelettrico in Ossola. Era trascorso esattamente un secolo dai primi insediamenti industriali che utilizzavano come forza motrice l’abbondante acqua, e ancora l’acqua doveva costituire, per l’intera provincia ma soprattutto per l’Ossola, la maggiore e più significativa risorsa energetica ed economica.
Il traforo del Sempione
Contemporaneamente dunque all’avvento della grande industria dello sfruttamento
idroelettrico, l’apertura del traforo del Sempione ha costituito la ragione del grande sviluppo
industriale dell’Ossola, dando un nuovo impulso all’economia della provincia. Innanzitutto,
l’apertura di questo essenziale sbocco ferroviario ha permesso l’approvvigionamento di materie
prime sui mercati europei, necessari per l’industria locale; questa apertura internazionale ha
determinato anche un ampliamento della rete ferroviaria e delle vie di comunicazione in tutto
il territorio provinciale, coinvolgendo anche il Cusio e il Verbano.
Oltre a essere uno strumento importante per le altre industrie locali, il traforo fu anche una grande impresa industriale in sé: nei suoi sette anni di attività impiegò 25.000 lavoratori complessivamente, con un numero di presenze fisse tra le 7500 e le 8000 unità lavorative provenienti da tutta Italia, facendone la più colossale, anche se temporanea, realizzazione industriale del VCO.
Pochi mesi dopo la sua inaugurazione, avvenuta nel 1906, la linea ferroviaria del traforo era già completamente elettrificata, ulteriore esempio dell’importanza di questo binomio economico per lo sviluppo locale. In seguito a questo fenomeno, sul territorio ossolano è nata una seconda forma di imprenditorialità, caratterizzata proprio dal fatto di non essere permanente: l’imprenditorialità di passaggio.
L’industria chimica
La disponibilità di energia elettrica non favorì solo l’avvento dell’industria siderurgica, ma
anche lo sviluppo del settore chimico. La decisione di Edison all’inizio del XX secolo di
investire nella produzione di energie idroelettrica in Ossola da utilizzare in loco, poiché non era
ancora disponibile una tecnologia di trasporto a grande distanza, permise lo sviluppo delle
produzione elettrotermiche di carburo di calcio e ferroleghe, oltre che alla produzione
elettrolitica di cloro.
«La disponibilità di energia idroelettrica ha permesso l’uso sul territorio di due nuove tecnologie chimiche che riguardavano da una parte la produzione del carburo di calcio e dall’altra parte l’elettrolisi per produrre cloro, idrogeno e soda caustica», così Angelo Bonomi nel 2012 in Storia industriale del Verbano Cusio Ossola.
La mobilità della proprietà nel settore chimico
Durante tutta la sua evoluzione, questo settore è stato caratterizzato da una dinamica complessa di cambi di proprietà e fusioni tra le diverse aziende, distaccandosi molto dalla componente
imprenditoriale delle famiglie locali per ampliarsi invece a varie società provenienti
dall’esterno, e determinando anche qui un decentramento dei luoghi decisionali che avrà un
ruolo importante, poi, nei successivi processi di deindustrializzazione.
Il primo impianto chimico produttore di carburo di calcio fu realizzato nel 1913 a Varzo, seguito dalla nascita di due altre industrie a Villadossola, la “Società Italiana Prodotti Sintetici” (S.I.P.S.) e la “Società Elettrochimica del Toce” (S.E.T).
La parabola
Tutte queste industrie costituirono un importante settore in espansione fino agli anni sessanta, dove iniziarono un declino che portò all’arresto uno dopo l’altro dei vari forni a carburo. […] Oltre alla perdita della produzione dell’acetilene per la concorrenze dell’etilene, si ebbe negli anni ‘80 un ultimo tracollo dovuto alla ristrutturazione di tutte le produzioni di fibre sintetiche e artificiali in Italia.
Di tutte queste aziende si salvò parte dell’impianto della Rhodiatoce di Villadossola che aveva sviluppato nei suoi laboratori, già dagli anni ‘40, la produzione di acetato di vinile, derivato dal carburo, e usato per la fabbricazione di colle viniliche con il nome commerciale di Vinavil. Questa innovazione tecnologica, nata sul territorio nello stabilimento di Villadossola già durante la Seconda Guerra Mondiale, ha permesso la continuazione di questa industria chimica, che ha superato la fase delle ristrutturazioni venendo acquistata dal gruppo MAPEI e continuando la produzione ancora con la “Società Vinavil”, che oggi ha avviato un processo di internazionalizzazione fondando stabilimenti a Viladossola, Ravenna, Chicago, Montreal e Suez.