Nel suo manuale, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, Cecilia Robustelli non tralascia alcune osservazioni sulla formazione che ogni dipendente di una qualsiasi amministrazione pubblica deve avere. Poiché la professoressa Robustelli tratta della formazione linguistica di base, è interessante riproporre qui la prima parte (Requisiti minimi) del paragrafo Indicazioni per l’uso del linguaggio di genere nei testi amministrativi (pp.30-33). Su ItalianaContemporanea il testo è rubricato alla pagina “Il genere linguistico“.
6. Indicazioni per l’uso del linguaggio di genere nei testi amministrativi
6.1 Requisiti minimi
Per affrontare consapevolmente qualsiasi intervento sui testi è richiesto il possesso di alcuni “requisiti minimi” tra i quali la conoscenza, almeno nelle loro linee generali, di alcune questioni linguistiche. All’interno del (per)corso di formazione è quindi utile, per esempio, riflettere su:
(a) Uso e distribuzione del genere grammaticale.
In italiano il genere grammaticale dei nomi è comunemente congruo con il genere biologico del referente (cioè il sesso della persona alla quale ci si riferisce): i termini che si riferiscono a un essere femminile sono di genere grammaticale femminile e quelli che si riferiscono a un essere maschile sono di genere grammaticale maschile (Le poche eccezioni, come per esempio guardia, sentinella, vedetta che sono di genere grammaticale femminile anche se si riferiscono tradizionalmente a uomini, sono del tutto ininfluenti per quanto riguarda il sistema). L’articolo “concorda” per quanto riguarda il genere (e il numero) con il nome al quale si riferisce, quindi così come di dice la maestra e non la maestro si dirà la ministra e non la ministro. Non c’è nessuna ragione di tipo linguistico per riservare ai nomi di professione e di ruoli istituzionali un trattamento diverso.
La non congruenza fra genere biologico del referente e genere grammaticale indebolisce la compattezza strutturale del testo e può provocare difficoltà nella sua comprensione. Nell’esempio seguente il ministro è di genere maschile anche se si riferisce a una donna (Elsa Fornero), ma il pronome la (chiamarla) è femminile e, infine, il ministro è ancora maschile:
«Letto questo messaggio, su diversi blog si trovano post che puntano il dito contro il ministro Elsa Fornero, per esempio qui equi, rea di aver voluto censurare la Dpl di Modena (…). Mi è sembrato utile chiamarla subito per un rapido chiarimento. Il ministro, che oggi stava lavorando da casa a Torino, era al corrente e mi ha risposto» (La Stampa, 13.4.2012)
Sapere che l’assegnazione e l’accordo di genere in italiano, come in altre lingue, non avvengono secondo meccanismi casuali, ma si collegano a regole (semantiche e formali) di portata generale, permette di affrontare con maggiore consapevolezza i casi di conflitto fra genere grammaticale di un nome e genere biologico del referente che si hanno, per esempio, in espressioni come “la ministro” o “il ministro Elsa Fornero”, ecc.
(b) Formazione delle parole.
Il lessico dell’italiano prevede sia un repertorio ormai radicato di forme femminili, sia una serie di neoformazioni. Ricordo che la maggior parte dei nuovi termini femminili per professioni o ruoli istituzionali si è “modellata” su quanto ha proposto Alma Sabatini (1987):
– i termini -o, – aio/-ario mutano in -a, – aia/-aria
es. architetta, avvocata, chirurga, commissaria, deputata, impiegata, ministra, prefetta, notaia, primaria, segretaria (generale), sindaca
– i termini –iere mutano in –iera
es. consigliera, infermiera, pioniera, portiera
– i termini in –sore mutano in –sora
es. assessora, difensora, evasora, oppressora, revisora, etc.
– i termini in –tore mutano in –trice
es. ambasciatrice, amministratrice, ispettrice, redattrice, senatrice
Nei casi seguenti la forma del termine non cambia e si ha soltanto l’anteposizione dell’articolo femminile:
– termini in -e /-a
es. custode, giudice, interprete, parlamentare, preside, poeta, vigile
– forme italianizzate di participi presenti latini es. agente, dirigente, inserviente, presidente, rappresentante
– composti con capo-
es. capofamiglia, caposervizio.
Tuttavia, a differenza di quanto suggerito da Alma Sabatini propongo di conservare le forme in -essa, es. dottoressa, professoressa, e altre forme, come direttrice, che sono attestate da una lunga tradizione, sono ancora pienamente in uso, e sembrano proprio per queste ragioni preferibili alle “nuove” forme dottora, poeta, professora e direttora, suggerite da Sabatini.
(c) “Tipi” di testo e relative “strategie” testuali
I testi in dotazione alle amministrazioni comunali comprendono una grande varietà di forme testuali, dal modulo all’ordinanza, dalla determinazione alle lettere personali. Chi intende redigere o riscrivere un testo deve essere consapevole delle sue caratteristiche specifiche e scegliere, anche per quanto riguarda l’uso del genere, una strategia (v. 6.2) appropriata e che non contrasti con l’esigenza di chiarezza, leggibilità e trasparenza richieste dalla comunicazione di tipo amministrativo.