Spid a quota 30 milioni

Spid a quota 30 milioni. Il sistema pubblico di identità digitale è stato ideato da Stefano Quintarelli nel 2016. Venerdì 6 maggio 2022 ha superato quota 30 milioni di utenti. Intervista all’ “Ideatore e padre normativo”, tiene a precisare Stefano Quintarelli. 57 anni, imprenditore, tra i pionieri dell’informatica in Italia, è stato deputato dal 2013 al 2018 eletto con Scelta Civica. Spid è la sua creatura. Nata nel 2016, non senza difficoltà, “senza quattrini”, e nonostante un brutto incidente d’auto.

Su ItalianaContemporanea questa intervista è pubblicata in “Digitale e democrazia“. Il testo consta di 1.104 parole e richiede un tempo di lettura di circa 4 minuti e mezzo.


Che effetto le ha fatto sapere che 30 milioni di italiani usano Spid?
“Mi ha fatto molto piacere. Oggi è il sistema pubblico di autenticazione di identità digitale con il maggiore numero di utenti al mondo. Punto. Spid è entrato nella vita degli italiani. E’ un fatto e conferma che la mia era un’intuizione giusta. Più si andrà avanti, più tutte le relazioni che hanno bisogno di un’identità certa online passeranno da lì. Già adesso sta succedendo”.

Può farci un esempio?
“Qualche giorno fa parlavo con un mio amico. Mi ha detto che tramite Spid sono riusciti a fare una riunione di condominio di una multiproprietà in Sardegna. 400 persone collegate e autenticate come proprietari di immobili che discutono di un condominio dove nessuno era fisicamente presente al momento. Sarà sempre più così, dalle banche ai giochi online, ai sistemi di pagamento, ai portafogli digitali. Tutto può essere fatto con Spid. Spid è stato pensato per diventare questo”.

Torniamo indietro un attimo. Ricorda quando è nata l’idea di Spid?
“Nel 2012 scrissi un post sul mio blog dove cominciavo a ipotizzare soluzioni per dare un’identità digitale agli italiani. L’idea iniziale era legare l’identità delle persone alla sim card del telefono, ma aveva delle difficoltà e dei problemi tecnici. Quell’idea è stata discussa, modificata, fino a immaginare qualcosa legato al proprio codice fiscale. Poi l’anno successivo mi hanno chiesto di candidarmi in Parlamento per Scelta Civica. E ci ho cominciato a lavorare da subito”.

Chi le ha dato immediato sostegno?
“Francesco Caio. Senza la sua determinazione non avremmo avuto Spid. Guardi, forse sa che il giorno del giuramento del governo Letta ho fatto un brutto incidente d’auto che mi ha tenuto in bilico tra la vita e la morte per diverso tempo”.

Si, dell’incidente ho letto sul suo blog.
“Bene, Francesco mi venne a trovare allora. Discutemmo di iniziative digitali per il Paese cominciai a parlargli di un sistema di autenticazione condiviso, una infrastruttura immateriale per il paese. Fu lì che l’ho convinto. Letta lo aveva nominato
Commissario all’Agenda digitale. Lui mi chiese: secondo te quali sono le tre priorità su cui dovremmo lavorare. Io gli risposi: la più importante, dotare gli italiani di un’identità digitale”.

Quando ha cominciato a capire che si poteva fare davvero?  
“Durante le prime riunioni ho cominciato a parlare con diversi imprenditori di aziende del settore. C’era entusiasmo e ricevetti subito il loro appoggio. Come subito ricevetti quello di Paolo Coppola (deputato, eletto nel Pd, ndr) con il quale abbiamo cominciato a scrivere il testo della legge. Ma è stato determinante anche il contributo di Alessandro Osnaghi. Se sono il papà di Spid, lui in un certo senso è il nonno perché aveva lavorato per lo Stato creando infrastrutture di fiducia digitale ed è stato fondamentale per la nascita di Spid. Ma tanti hanno condiviso l’idea e dato un impulso determinate. Dopo Francesco Caio, Diego Piacentini e Paolo Barberis a Palazzo Chigi, il Team digitale, e tanti altri. Impossibili citarli tutti. Un curiosità: il nome non è mio. Se non ricordo male, lo propose Andrea Rigoni”.

Spid come è oggi è come lei lo immaginava?
“Certamente no. Io immaginavo di darlo in concessione. Ma non è stato possibile”.

Perché?
“Perché Spid è nato senza quattrini. Ci è stato detto: idea bellissima, fatelo, ma non ci sono i soldi. A quel punto ci siamo dovuti ingegnare per trovare un’alternativa. Lo Stato non metteva soldi. Le pubbliche amministrazioni non potevano spendere per i servizi. Ed era impossibile chiedere che a pagare Spid fossero i cittadini, nessuno paga per un servizio che non si sa nemmeno quanto utile sarebbe diventato. A qual punto ci siamo inventati una versione freemium: pagano i fornitori del servizi privati, il cittadino no”.

Ma c’è dell’altro. 

“Quando abbiamo scritto la legge abbiamo inserito una norma: una volta creatasi una massa critica di utenti, su indicazione del presidente del Consiglio dei ministri o del ministro delegato, a partire da una data precisa i fornitori di servizi pubblici dovranno cominciare a usare Spid per l’autenticazione dei propri utenti, pagando una cifra irrisoria (40 centesimi l’anno per ogni cittadino). Oggi immagino che tra sms, raccomandate e invio di fatture le società paghino alle aziende costi annualmente ben più di 40 centesimi. Oggi con 30 milioni di italiani che hanno Spid e altri 7 milioni arriveranno quando sarà previsto per una fascia di popolazione minorenne è arrivato il momento in cui questo servizio cominci non solo a non essere un costo, ma anche a ripagare gli investimenti sostenuti. E’ il momento di dare compimento fino in fondo a quanto previsto dalla legge e che i servizi pubblici gestiti da privati comincino a usare Spid. Personalmente partirei dalla Sanità”.

Mi sta dicendo che dentro la legge di Spid, che ai più è noto come un servizio per la pubblica amministrazione, ci sono delle norme che ne hanno immaginato anche un po’ il destino?
“Sì, come spiego bene nel mio blog, Spid non è solo un servizio per le Pa. Spid è potenzialmente l’infrastruttura che possono usare tutti, dal venditore di diamanti ai centri scommesse, dai meccanici per i certificati di riparazione o a quelli di acquisto di beni. Ha dentro i principi che porteranno alla digitalizzazione di tutti i rapporti. E lo diventerà, anche perché può anticipare, come ha già fatto, anche la regolamentazione europea, dove è prevista l’affiancamento all’identità digitale di un portafoglio digitale, un “wallet”. Spid è nato con la possibilità di aggiungere servizi aggiuntivi. Non sono in molti a sapere quali potenzialità abbia, e quante siano ancora inespresse. Oggi Spid è alla base di moltissime cose, può diventare alla base di tuttoe le relazioni digitali anche per le imprese, basta che nella evoluzione delle regole tecniche non prevalga una visione limitata alla Pa”.

Potesse tornare indietro, c’è qualcosa di Spid che non farebbe?
“No. Sono molto contento di come è andata. E so che dovrei dire un po’ grazie al Covid perché tutto il sistema di bonus, dei pass, dei tamponi si è mosso su Spid. Creare un’identità digitale era quello che volevo, e l’emergenza ha reso chiara la sua importanza. Non è poi esattamente come la volevo io? Pazienza, è la democrazia”.
 
Si è mai messo in dubbio la validità della sua idea?
“Un sacco di volte. Si è tentato più volte di chiudere Spid per usare solo la carta di identità elettronica. Ma la forza di Spid è proprio non avere una carta, una tessera; Spid si può usare da dovunque per fare tutto. Oggi tra Spid e carta di identità elettronica non c’è partita. Il confronto è imbarazzante per numeri di accessi e login. Spid ha vinto”.