Stoccolma 2017: terrorismo

Il radicalismo islamico cresciuto nelle periferie tra welfare e moschee
L’estremismo nel Paese risale ai primi Anni 90. Diversi capi di Al Qaeda provenivano da qui.
Saggio di Lorenzo Vidino.


Stoccolma è ancora confusa. Memori degli eventi nella confinante Norvegia del luglio 2011, quando i più avevano pensato a una strage jihadista, prima di scoprire che l’attentatore era il biondo estremista di destra Anders Breivik, appare imprudente fare illazioni.

Certo è che ogni indizio, dalla modalità scelta per l’attacco alle prime dichiarazioni delle autorità svedesi, punta a una tragica ripetizione dei fatti di Nizza, Berlino e Londra, anche nella matrice ideologica che li motiva.

Se così fosse, sarebbe smentita l’opinione comune che la Svezia e la Scandinavia sono terre idilliache, paradisi al riparo da violenza, crimine e tensioni sociali. Ma tra i governi e le popolazioni di quei Paesi, negli ultimi anni, si è presa lentamente consapevolezza che l’estremismo di matrice islamista è un fenomeno ben radicato. È una storia che comincia nei primi Anni Novanta, quando grazie alle generose politiche d’asilo attuate dai governi locali, numerosi carismatici leader islamisti nordafricani e mediorientali in fuga dai regimi dei Paesi d’origine ottengono asilo politico in Norvegia, Danimarca e soprattutto Svezia. Lì, operando pressoché indisturbati dalle squadre anti terrorismo locali e spesso beneficiando del generoso welfare statale, trovano le condizioni ideali per la creazione di un network di moschee e organizzazioni islamiste, che riscontrano ampio seguito tra le popolazioni musulmane delle periferie, nelle città scandinave.

Il problema è particolarmente acuto in Svezia. Rinkeby a Stoccolma e Rosengård a Malmö sono due tra le più notorie delle 55 aree urbane che la polizia svedese considera ufficialmente come aree a rischio (le cosiddette «no-go areas») e in cui essa stessa ha dei problemi ad operare (in molte zone ambulanze, pompieri e postini entrano solo scortati). Alti tassi di delinquenza, con organizzazioni criminali che negli ultimi anni hanno sempre più spesso fatto uso di armi automatiche, disoccupazione ed emarginazione vanno di pari passo con varie forme di estremismo islamico. Che si manifesta in due modi: pressione sociale e mobilitazione jihadista.

Più striscianti, ma comunque altamente preoccupanti, sono infatti le forme di coercizione comportamentale in salsa islamista. Sempre più frequenti, per esempio, sono le denunce da parte di organizzazioni di donne musulmane svedesi di forti pressioni operate dai fondamentalisti, vere e proprie ronde islamiche che forzano le donne del quartiere a indossare il velo e a non uscire di casa se non sono accompagnate. E proprio questa settimana era esploso lo scandalo di una scuola islamica, che segregava studenti maschi e femmine.

Collegata a filo diretto è la mobilitazione jihadista. Già dieci anni fa, estremisti islamici svedesi occupavano posizioni medio-alte nelle formazioni qaediste, che combattevano le truppe americane in Iraq e all’interno di al Shabaab in Somalia (viste anche le dimensioni della diaspora somala in Svezia). L’attacco suicida nelle vie del centro di Stoccolma di un immigrato iracheno (con tanto di laurea e sussidio di Stato) nel 2010 poteva essere sembrato un atto isolato. Ma pochi anni dopo, la mobilitazione di jihadisti svedesi per unirsi alle file dello Stato Islamico e di altre formazioni jihadiste è stata tra le più grandi d’Europa (circa 300, in un Paese con circa 10 milioni di abitanti, e quelli partiti dall’Italia, Paese molto più grande, sono circa 100).

Queste dinamiche fanno vacillare molte spiegazioni che comunemente ci diamo, per giustificare la presa del radicalismo jihadista tra i musulmani d’Occidente. Si pensa sia per povertà ed emarginazione. Ma non esiste Paese più generoso della Svezia, che spende somme enormi per fornire ogni tipo di servizio ad ogni residente, in primis le centinaia di migliaia di migranti, che ha recentemente accolto. Si pensa ad una reazione alla politica estera. Ma la Svezia ha un ruolo molto defilato in Medio Oriente, e sebbene abbia un piccolo contingente di addestratori militari in Iraq e Afghanistan, ha spesso criticato la politica americana nella regione. Il caso svedese fa invece pensare che il fondamentalismo islamista attragga non tanto, o non solo, in reazione a cosa noi facciamo. Piuttosto, in virtù di una propria visione alternativa del mondo e della società, che piace ad alcuni (fortunatamente parliamo di numeri ridotti, anche se preoccupanti) musulmani europei, indipendentemente dalle condizioni sociali in cui si trovano.


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