Storia di Farideh

Storia di Farideh.

Storia di Farideh. Questa è la storia di Farideh Guerman, una donna iraniana, una combattente politica che ha impegnato – «ha dato in pegno» – la sua vita nella lotta in un credo politico, e «a sostegno», dice lei, «dell’essere umano». La biografia di Farideh Guerman è narrata da Stefania Miccolis su La Stampa del 22 marzo 2023.


Questa è la storia di una donna iraniana, Farideh Guerman, una combattente politica che ha impegnato – «ha dato in pegno» – la sua vita nella lotta in un credo politico, e «a sostegno», dice lei, «dell’essere umano». Ma non vuole essere ricordata, «voglio essere pioggia sulla mia terra e scomparire nell’oceano sconfinato dell’esistenza». Vuole fare qualcosa per l’umanità: «Un sogno troppo grande». È dall’età di otto anni che lotta: «Capivo i discorsi che facevano i miei fratelli più grandi sul Comunismo. Speravo di poter entrare nel partito comunista, il Tude». Oggi fa parte della organizzazione politica Ranjbaran. Le domandiamo: ma non sei arrivata ad un età in cui vuoi riposarti?; «Ma come faccio, tutta la mia vita è stata una lotta per il bene comune, non posso fermarmi ora, non avrebbe senso tutto quello che ho fatto e che ho passato».

Per comprenderla basterebbe il suo libro su Teresa Noce, «Rivoluzionaria professionale»: tradotto nei suoi anni di clandestinità in Iran e pubblicato solo nel 2016, l’8 marzo. «Teresa Noce, una donna che pensava con la sua testa: dovevo farla conoscere, se infondeva coraggio a me, lo avrebbe infuso anche alle donne iraniane: dovevano prendere coscienza di loro stesse e della loro situazione».

Ma la sua vita è molto più rocambolesca da raccontare: è intrisa di passione, violenza e amore, produce in chi la ascolta per non essere sordo impotenza e disagio, superficialità e ipocrisia, e induce a una profonda riflessione. Un romanzo sulla sua vita lo ha già scritto e pubblicato: in italiano il titolo sarebbe: «Alla luce dell’amore, le sofferenze della vita svaniscono». Una storia che arriva solo fino al 1978, «anno in cui Khomeini prende il potere e tradisce tutti». «È stato peggio dello scià. Lo scià ha torturato e ammazzato tanti uomini e donne, compreso il mio primo marito». 

Era il 1976, poco dopo cominciò la rivoluzione. «Tutti credevamo che con la caduta dello scià avremmo vissuto in un mondo libero e invece Khomeini ha detto solo bugie. Cominciò prima con il velo alle donne, e noi non avevamo capito, pensavamo solo a lottare contro l’imperialismo americano; ma poi le ronde iniziarono ad attaccare violentemente le sedi e le organizzazioni comuniste». Il libro racconta di quando Farideh si iscrisse ad architettura in Italia, alla Sapienza (è appassionata di Bruno Zevi, ne ha tradotto due libri, ha cercato di sviluppare e di far comprendere ai suoi alunni in Iran «il senso dell’architettura come spazio») dove studiava anche il suo primo marito. Ricorda come fosse entusiasta: «Nel 1964, appena sono arrivata, ho partecipato alle riunioni della Cisnu, Confederazione per la lotta democratica studentesca iraniana in tutto il mondo, ed ero contenta che tutti potessero lottare liberamente. Ho conosciuto mio marito, che divenne uno dei fondatori dell’organizzazione rivoluzionaria che si scisse dal Tude, diventandone l’ala combattente». Il marito non finì gli studi per «fare la rivoluzione in Iran» e viveva lì in clandestinità. 

Non riuscivano quindi a comunicare, «la sua ultima lettera, che conservo insieme alle a tante altre, era in bianco, non capii cosa fosse nascosto fra le righe. Dopo tanti giorni di silenzio finalmente riuscimmo a sentirci, ci salutammo. Lo presero e dopo una settimana lo torturarono e morì». Lo dice con voce sospirante, abbassa gli occhi mentre ricorda. 

Farideh invece viene messa in prigione sotto Khomeini nel 1982: «Da quando c’era Khomeini tutto era orribile, la religione islamica, che le persone all’inizio non riuscivano a capire, ha tolto ogni libertà». Si trovava in Iran in clandestinità con documenti falsi e la presero mentre partecipava ad una riunione coi suoi compagni. «In prigione ero bendata, cominciarono a ridere e a dire le mie vere generalità. Mi fecero scendere le scale e messa su una tavola di legno cominciarono a frustrarmi le piante dei piedi e così continuarono per giorni: mi erano anche cadute le unghie di piedi. Non sapevo più come fare. Intanto pensavo, pensavo sempre a cosa dire o inventare e sapevo che non potevo fare nomi. La mia fortuna fu una agendina nella mia borsa con dentro luoghi e date, ma non nomi. Mi credettero. Agli interrogatori non riuscivo a stare in piedi, ma in ginocchio, mi facevano stare sveglia tutta la notte. Sono uscita dopo quasi quattro anni: con un processo regolare, mi liberarono. Non so ancora il perché, forse mio marito, che aveva lottato contro lo scià, era considerato un martire e non mi uccisero. Uscita di prigione sapevo di essere sorvegliata, non incontrai più nessuno. Tante erano le domande che mi ponevo e i perché. Pensavo alla nostra organizzazione, alle nostre linee politiche…».

Farideh ora è in Italia, partecipa a tante riunioni qui col suo partito. «In Iran è impossibile, né posso tanto parlarne; le organizzazioni politiche sono tutte in clandestinità. Quello che sta accadendo c’è sempre stato, è tremendo. La situazione per le donne non è peggiorata, la polizia morale è sempre esistita. Ma la ragazza che è stata uccisa, Mahsa Amini, ha scatenato la scintilla. Lei è stata la scintilla che tutti aspettavano; la gente lotta, non ne può più. Tanti giovani, tanti studenti parlano, discutono…la situazione per la sinistra sta migliorando. Il figlio dello scià vuole ritornare, ma noi comunisti non vogliamo questo, siamo contro l’imperialismo, non vogliamo compromessi. Basta, abbiamo già provato con queste cose. Ma capiamo che non possiamo contrastarli: diciamo, fate! Devono andare avanti, è la democrazia, il popolo deve decidere, deve prendere coscienza». 

Farideh ha già scritto il secondo libro autobiografico, ma nessuno è disposto a pubblicarlo in Iran. Donna, vita, libertà, è un motto importantissimo: «La donna è sempre stata sottomessa, due volte più dell’uomo, non solo in Iran, in tutto il mondo. Si deve continuare a lottare. Se non c’è la donna non c’è la vita. Non credo riuscirò a vivere tanto per vedere la libertà nel mio Paese».

Guida alla lettura

Si può migliorare la leggibilità del testo, dando dei sottotitoli alle varie parti del discorso e preterendo paragrafi brevi di meno di 150 parole. Ad esempio il paragrafo che inizia “Era il 1976, poco dopo cominciò la rivoluzione.” è più lungo di 150 parole. Lo stesso il paragrafo che inizia: “Farideh invece viene messa in prigione sotto Khomeini nel 1982”

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