Storia di Open AI

Storia di OpenAI, la società fondata da Musk e Altman dietro il fenomeno ChatGPT. Una relazione di Arcangelo Rociola, pubblicata il 15 gennaio 2023 su ItalianTech. OpenAi è nata nel 2015. Un documento firmato da 9 finanziatori ne indica la missione: salvare l’umanità dall’intelligenza artificiale malevola. Così la paura delle macchine è diventato un business planetario (e miliardario).

Su ItalianaContemporanea questo testo è pubblicato nella pagina Intelligenza Artificiale. 1.575 parole. Tempo di lettura circa 7′.


Undici dicembre 2015. Dopo pochi minuti dalla sua registrazione, sul dominio Openai.com viene caricato un documento. Tremiladuecento battute scarse. Lo firmano in nove. Tra loro Sam Altman, Elon Musk e Peter Thiel. Ma anche società donatrici come Amazon e Y-Combinator, il più importante acceleratore di startup al mondo. È l’atto che da il via a uno dei progetti più discussi e affascinanti dell’ultimo decennio: OpenAI. Il gruppo di ricerca da cui è nato il fenomeno ChatGPT.

Quel gruppo di ricerca, lautamente finanziato da profili di primo piano della Silicon Valley, oggi è una società a tutti gli effetti. Con azioni, un consiglio di amministrazione e investitori di peso. Ha ricevuto prima finanziamenti per un miliardo da Microsoft. Poi, qualche giorno fa, Microsoft per la stessa cifra se ne è comprata il 40%.

Ma OpenAI nel 2015 nasce come una società di pura ricerca. Senza scopo di lucro. I fondatori in quel documento si dicono consapevoli del potenziale enorme dell’Intelligenza artificiale. Sia per sua capacità di far fare progressi enormi all’umanità. Ma anche perché in potenza potrebbe essere in grado di distruggerla. Di prendere il sopravvento sulla specie che finora ha dominato il pianeta Terra.

OpenAI, il grado di differenza tra il paradiso e l’inferno

Di base c’è la consapevolezza che le macchine intelligenti hanno fatto passi enormi. Non si tratta più di pura potenza di calcolo. Né di battere un campione di scacchi russo nello sport in cui dominava incontrastato. Le macchine hanno raggiunto uno stadio evolutivo diverso.

Nel 2015 ci si sentiva sul crinale di una rivoluzione le cui conseguenze erano difficili da immaginare. Quindi era meglio muoversi in anticipo. Anticipare il futuro. Non per porre argini allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale – l’innovazione prima o poi arriva. Ma per farla evolvere al meglio.

Come si legge in uno dei passaggi più significativi del testo scritto sette anni fa: “Oggi i sistemi di intelligenza artificiale hanno capacità impressionanti. Ma limitate. Eppure i loro limiti sembrano destinati a ridursi. Nel caso più estremo, presto raggiungeranno le prestazioni umane in quasi tutti i compiti intellettuali. È difficile immaginare quanto un’intelligenza artificiale con un livello pari o superiore a quello umano possa giovare alla società. Ma è altrettanto difficile immaginare quanto possa danneggiarla se costruita o usata in modo sbagliato”.

Tra il paradiso e l’inferno sembrava ci fosse un solo grado di differenza. E OpenAI voleva mettersi proprio su quel grado.

DeepMind: un progetto di cui si sa poco, forse per scelta

OpenAI è diventato il centro da cui ci si aspettava ogni tipo di notizia sul fronte dell’intelligenza artificiale. Spesso con un misto di curiosità e speranza. È diventato il centro più osservato dagli esperti, insieme all’altro peso massimo del settore: DeepMind di Alphabet, comprata dalla holding di Google nel 2014 per 500 milioni di dollari. Stesso focus di ricerca. Approcci opposti. Due società non solo concorrenti, ma a tratti sembrate su barricate antitetiche.

La controllata di Alphabet non parla molto dei progressi della sua intelligenza artificiale. Né ne fa gran pubblicità. Pubblica scoperte, quello si. L’intelligenza artificiale di Google lo scorso giugno ha ricostruito e svelato le strutture di 200 milioni di molecole. Le ha anche messe in un database accessibile a tutti. Si sa che si occupa di strumenti per i matematici. Di tecniche per la decifrazione di testi antichi. Si sa anche che in alcuni casi ha avuto dei successi. Ma quello che fa è percepito in maniera piuttosto fredda. Lontana. Come se su tutto gravasse un alone di mistero.

Forse anche complice dell’ultima vicenda che la riguarda: il licenziamento di un suo dipendente, Blake Lemoine, dopo che l’ingegnere ha deciso di raccontare ai media che l’AI di DeepMind era diventata cosciente. Quasi senziente. Nessuna conferma. Anzi, pare che Lemoine avesse una sorta di paura insita del suo lavoro e dei suoi sviluppi che lo avrebbero portato a immaginare qualcosa da alcune ‘azioni’ della sua AI. 

OpenAI: l’Intelligenza artificiale aperta a tutti

OpenAI ha fatto l’opposto. E lo ha fatto da subito. Tutto ciò che usciva dai laboratori del quartier generale di San Francisco (un palazzo storico della città dove, curiosità, ha sede anche Neuralink, la startup di Elon Musk che lavora a interfacce neuronali impiantabili) veniva messo subito a disposizione. Pubblicato, raccontato, diffuso. Nel caso dell’ultima versione di ChatGPT addirittura messo a disposizione di tutti. Risultato? Sito inaccessibile da giorni per le troppe richieste.

Nel 2016 mette online una versione beta di una piattaforma di apprendimento delle macchine per rinforzo. L’anno dopo un software che allena un’intelligenza artificiale tramite giochi. Poi fu la volta dei robot che imparavano le tecniche del sumo, fino a buttare fuori l’avversario dal dohyo. Esperimenti. Ma è ChatGPT che ha cambiato tutto. Ha dato a tutti la possibilità di capire le reali potenzialità dell’intelligenza artificiale. Ma ha anche cambiato la storia dell’azienda, che ha definitivamente tirato giù la maschera della no profit nata per il bene dell’umanità.

I timori per un AI cattiva in grado di prendere il sopravvento

OpenAI, si è detto, nasce con gli sviluppi più recenti dell’intelligenza artificiale. Con un’idea di fondo che vibra come un’inquietudine: Musk, Altman, Thiel e gli altri di fondo temevano (temono tuttora?) che le grandi cose a cui è destinata l’intelligenza artificiale nascondano un lato oscuro. Il fatto che quelle cose possano essere terribili. E siccome non c’è rimedio allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, non c’è barriera che la possa frenare, nel bene e nel male, l’unico modo per creare le condizioni che possa fare del bene è renderla aperta. Pubblica. Dare accesso a tutti. Espanderne la platea al più alto livello possibile.

All’inizio i programmi di Openai erano addirittura open source, cioè possibili da scaricare e usare a proprio piacimento se si è in grado di lavorare sul loro codice. Poi qualcosa è cambiato.

Elon Musk ha lasciato tutte le cariche nel gruppo di ricerca nel 2018, sollevando la possibilità di un conflitto di interesse tra OpenAI e il ramo aziendale di Tesla che si occupa di intelligenza artificiale. L’anno successivo OpeAI diventa una società for profit. Niente più finalità benefiche. Niente più sviluppo fatto con i soldi delle donazioni (Musk è rimato tra i principali donatori). L’AI è un business. E servono investimenti veri.

OpenAI: il cambio di passo del 2019, servono i soldi

Nel 2019 Openai diventa una società a scopo di lucro limitato. In sostanza, se ci si mettono dei soldi si può ottenere massimo un profitto di 100 volte il capitale investito. Pochi mesi dopo Microsoft ci mette un miliardo. Da laboratorio di intelligenza artificiale diventa un’azienda che la produce. Si calcola che per costruire i suoi programmi, solo per la ricerca servissero 12 milioni di dollari l’anno.

Più si andava avanti, più complesse diventavano le ricerche, più ricercatori bravi servivano. E con stipendi non troppo sfavorevoli per condizioni economiche rispetto a Google, Amazon o Meta. Per rimanere in piedi servivano i soldi di Microsoft. Per “rimanere rilevanti”, come recitava la nota della società dopo l’investimento della società fondata da Bill Gates.

I dubbi dei critici: OpenAI ha venduto la sua anima per un piatto di lenticchie (molto care)

All’inizio del 2019, Openai annuncia GPT-2, un modello linguistico in grado di generare testi di livello umano. Per i ricercatori era un enorme balzo in avanti. Ma la loro paura era una: temevano che potesse essere usato per “diffondere fake news, spam e disinformazione”. Poi però hanno deciso di condividere il modello, dopo aver riscontrato “nessuna forte evidenza di uso improprio”.

Diversi articoli da allora hanno messo in luce come fosse cambiata la strategia dell’azienda. In un articolo della rivista del Mit di Boston si diceva chiaramente che Openai stesse cercando di “capitalizzare il panico che lei stessa aveva contribuito a diffondere sui temi dell’Ai”. Su altre riviste, come la versione americana di Wired, si ipotizzava una precisa strategia di marketing da parte dell’azienda.

Sospetto sollevato anche dopo il lancio a dicembre del chatbot GPT-3,5, la versione che ha reso pop ChatGPT, oggi praticamente inaccessibile per le troppe richieste di accesso in arrivo da ogni parte del mondo e che presto potrebbe diventare a pagamento. La sintesi dei critici è una: OpenAI ha venduto la propria anima. Non per un piatto di lenticchie.

La società punta ora a un miliardo di fatturato entro il 2024. Un nuovo business miliardario sta nascendo

Di contro, è certo che senza un flusso di cassa è difficile riuscire ad assumere bravi ingegneri in grado di migliorare il prodotto. Ed è oramai certo che quello che fa Openai e le altre società attive sul settore è ciò che ci si aspetta dallo sviluppo delle nuove tecnologie. L’intelligenza artificiale sembra aver già assunto lo scettro del “the next big thing”, la prossima grande innovazione su cui puntare. A livello di sviluppo, e di investimenti.

Dopo l’uscita di Musk, oggi la società è guidata da Sam Altman. Secondo Reuters la società prevede un fatturato di 200 milioni nel 2023. E di un miliardo per il 2024. Oggi è valutata 29 miliardi di dollari. I primi passi per essere il prossimo colosso tra le tech company sono già stati fatti. E i primi passi di un nuovo settore. Non per idee, nemmeno per tecnologia. Ma per giro d’affari generato.

Dopo un ventennio di assenze di grandi innovazioni, con l’era della digital economy dei social un po’ sul viale del tramonto, e sullo sfondo le promesse non mantenute della crypto economy, alla Silicon Valley per evitare una crisi strutturale serve aria nuova. Va bene anche artificiale.

Guida alla lettura

Il testo è una relazione sulla vicenda di OpenAi dalla data di inizio della società nel 2015 ad oggi. Parte però da un’ affermazione che si può contestare e che invece qui è utilizzata come un. postulato: “Di base c’è la consapevolezza che le macchine intelligenti hanno fatto passi enormi. Non si tratta più di pura potenza di calcolo. Né di battere un campione di scacchi russo nello sport in cui dominava incontrastato. Le macchine hanno raggiunto uno stadio evolutivo diverso”.

Lèggete l’intervista a Federico Faggin o l‘intervista a Stefano Quintarelli e troverete, argomentata, la posizione opposta: si tratta cioè di enorme base dati e grande potenza di calcolo.

Tutto il testo è pervaso dall’idea che qualcosa non torna, che c’è qualcosa di nascosto, che lo sviluppo. può essere negativo… Trovate tutti i passaggi del testo che motivano questa nostra valutazione.

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