Verso la parità di genere in Italia. La condizione delle donne in Italia è radicalmente cambiata rispetto al passato, merito di una maggiore partecipazione alla società e alla vita politica, seppure con limiti ancora molto evidenti. La lotta al femminile per arrivare a questi primi risultati è stata lunga, difficile e caratterizzata da secoli di ingiustizie, ostacoli e sacrifici.
Verso la parità di genere in Italia. Ricostruzione del percorso legislativo che accompagna l’emancipazione delle donne in Italia. È una relazione di Claudio Besso pubblicata sul sito donne.it il 13 luglio 2020.
Complice il retaggio di una mentalità patriarcale, che ha visto nel corso della storia le donne “solo” mogli e madri senza percepire la cura e la dedizione nei riguardi della famiglia, come un vero e proprio lavoro, un impegno anche educativo, soprattutto nei riguardi dei figli.
Tuttavia questo modo di pensare, seppure del tutto anacronistico, ha ancora effetti sulle scelte di molte ragazze e lavoratrici che subiscono determinate forme di ragionamento.
Solo recentemente sono state promulgate leggi che tutelano le donne dal femminicidio, dallo stalking e dalla violenza domestica. In ambito lavorativo, invece, nonostante esistano leggi che prevedono la parità di trattamento tra uomini e donne e il divieto di licenziamento per le donne in stato di gravidanza, molte sono costrette a scegliere tra vita professionale e vita familiare rinunciando ai figli sin dai primissimi mesi di vita con un’eco sulla crescita e sul rapporto molto forte.
Diritti delle donne: le leggi che hanno cambiato il corso della storia
È solo verso la fine dell’Ottocento che le donne in Italia cominciano a vedere riconosciuti alcuni dei basilari diritti umani: quello all’istruzione, ad esempio, viene ottenuto nel 1874, quando alle donne è consentito l’accesso ai licei e alle università. In realtà, molti istituti continuarono a rifiutare le iscrizioni femminili e molte professioni rimasero precluse a laureate e diplomate.
Nel frattempo, nei luoghi in cui la concentrazione di donne è maggiore, come i campi e le fabbriche, nascono i primi sindacati operai e le organizzazioni di lavoratrici.
I progressi legislativi sono lenti e spesso ottenuti nei contesti in cui lo sfruttamento si presentava a livelli estremi: nel 1902 viene approvata la legge proposta da Paolo Carcano, Ministro delle Finanze durante il governo Zanardelli, che vieta a donne e bambini la mansione di minatori e limita le ore lavorative giornaliere a 12.
I progressi delle donne tra le due guerre
Durante il primo conflitto mondiale, mentre gli uomini sono impegnati al fronte, sono le donne a prendere il loro posto di lavoro. Il grande contributo femminile durante questo periodo così particolare riaccende il dibattito sulla loro condizione. Con la Legge Sacchi, nel 1919 viene abolita l’autorizzazione maritale e consentito alle donne l’accesso ai pubblici uffici, esclusi la magistratura, la politica e l’esercito.
Il regime fascista promuove l’ideologia che vede nella procreazione il principale dovere della donna. I diritti acquisiti fino a quel momento vengono declassati e inasprite le leggi che sottomettono la donna alle scelte di padri e mariti.
Tra le nuove norme del Codice Penale, in questo periodo si trova l’art.587, che prevede la riduzione di un terzo della pena per chi commetteva un delitto d’onore. Con le leggi razziali del 1938, l’emancipazione delle donne subisce una tragica e ulteriore battuta d’arresto. Si tratta però dello spunto per una tanto attesa partecipazione femminile alla “ribellione”, che si organizza nei gruppi di difesa antifascisti e nella Resistenza.
Alla fine della guerra viene finalmente riconosciuta l’importanza del ruolo svolto dalle donne durante gli anni del conflitto. Già dal 1945 viene approvato il suffragio femminile, grazie all’impegno dei movimenti pro-voto e alla proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
È in occasione del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che viene consentito per la prima volta alle donne di votare: ai cittadini viene chiesto di scegliere il destino del Paese tra Monarchia e Repubblica.
Finalmente, nel 1948 viene redatto il testo della Costituzione Italiana, che nell’art.3 garantisce pari diritti e pari dignità sociale alle donne in ogni campo.
Le nuove ondate dei movimenti femministi
Dopo questo importante riconoscimento, la spinta femminista riprenderà intorno agli anni Sessanta, al tempo del boom economico, che vede cambiare profondamente le abitudini delle donne e la mentalità collettiva.
Nascono e si sviluppano in Italia i movimenti femministi, grazie anche all’esempio proveniente dagli avvenimenti statunitensi e mondiali: l’obiettivo non è solamente rivendicare i principi di uguaglianza, ma anche quello di porre l’attenzione su temi che riguardano direttamente il mondo femminile come la sessualità, l’aborto e la contraccezione, ma anche il divorzio.
Con la legge n° 66 del 9 febbraio 1963, alle donne è consentito entrare in Magistratura. Bisognerà attendere il 1981 per vederle partecipare al corpo di Polizia e addirittura al 1999 per la loro ammissione nelle Forze Armate.
Per quanto riguarda il divorzio, prima del 1970 per le coppie sposate era possibile solo separarsi, con il rischio per la donna di rovinare per sempre la propria reputazione e di non ottenere nessun diritto per sé e per i suoi figli. Con la prima legge sul divorzio viene regolamentato un iter di cinque anni, che però non prevedeva per la donna la possibilità di riconoscere i figli avuti fuori dal matrimonio o dopo il divorzio.
In seguito, con la riforma del Diritto di Famiglia del 1975, anche i figli nati all’infuori del matrimonio saranno considerati ugualmente “legittimi”, l’adulterio del marito potrà essere considerata una causa plausibile per la separazione e sarà possibile la comunione dei beni.
Mentre le leggi si adattano ai cambiamenti della società, sembra un paradosso che la legge per abolire il cosiddetto “matrimonio riparatore” e il “delitto d’onore” arrivi solo nel 1981. Prima, uno stupratore poteva potenzialmente sposare la sua vittima, “concedendole” di mantenere una reputazione dignitosa; se qualcuno uccide per salvaguardare il proprio orgoglio, verrà d’ora in poi punito come qualsiasi altro assassino.
Dal 1978 è possibile interrompere la propria gravidanza volontariamente, per motivi personali, se la salute della donna e del neonato sono messe a rischio oppure valutando le circostanze del concepimento, come ad esempio lo stupro. L’aborto è effettuabile entro i 90 giorni e il costo è coperto dallo Stato, mentre è consentito abortire fino ai primi 5 mesi di vita del feto se la gravidanza comporta gravi rischi per la donna e per il bambino.
Infine, nel 2013 vengono finalmente regolamentati i provvedimenti penali da attribuire alla violenza di genere nei confronti delle donne, come spiega in modo dettagliato il Ministero della Salute. Per lo stalking e i maltrattamenti è previsto l’obbligo di arresto immediato; la denuncia è irrevocabile, nel caso in cui la vittima avesse dei ripensamenti per timore o per aver subito minacce; la pena è inasprita se l’atto violento avviene in presenza di minori.
Queste sono solo alcune delle norme che le donne hanno ottenuto con grande sacrificio, con le lacrime e il sangue di altre donne: la Fondazione Nilde Iotti le ha elencate in un libro dal titolo “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia”, che argomenta l’impatto sociale della lotta femminile sul Paese e sulla mentalità generale.
Gli obiettivi conquistati dalle donne sono stati grandi, ma il percorso verso la parità è ancora lungo, specialmente in ambito professionale.
Ancora discriminate
Nel mondo del lavoro la strada da percorrere è ancora tanta e c’è ancora una grande differenza tra la percentuale di occupazione maschile e femminile.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro denuncia che sono quasi 38mila le neomamme che nel corso del 2019 si sono viste costrette ad abbandonare il proprio posto di lavoro, a causa dell’impossibilità di conciliare la vita lavorativa con quella familiare.
Sembra impossibile pensare che nel 2020 le donne siano ancora vittime del gap salariale: a parità di mansioni, le lavoratrici donne guadagnano meno rispetto agli uomini. Ma non è tutto: l’accesso al mondo del lavoro per le donne è prevalentemente orientato su posizioni meno prestigiose e retribuite rispetto agli uomini. Inoltre, solo una donna su quattro riesce a ricoprire una posizione dirigenziale.
Le cause possono essere attribuite agli stereotipi di genere, che riguardano ancora l’istruzione. Si sentono spesso pronunciare frasi come:
“Le donne sono più portate per le materie umanistiche, per la loro sensibilità, e meno per quelle scientifiche.”
Altro esempio di pregiudizio è sul ruolo della donna all’interno del focolaio domestico. I dati Istat rivelano che nelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, è la donna a trascorrere gran parte del proprio tempo a prendersi cura della casa e dei figli, mentre il padre è generalmente molto assente. Dunque, rivelano il contrario!
Anche i fenomeni di violenza, fisica, psicologica e verbale, sono ancora ampiamente diffusi. Circa il 32% delle donne sostiene di esserne stata vittima, considerando che tantissimi episodi non vengono denunciati.
Verso la parità di genere in Italia. Questa relazione ha dei difetti di leggibilità. Le forme passive sono più frequenti di quanto sia ammissibile (non più di un 10%). Troppo frequenti anche le frasi lunghe (non più del 25% è il limiite). Va bene la distribuzione dei sottotitoli, ma due paragrafi eccedono la misura di 300 parole. Vanno accorciati. Allo stato attuale questa relazione ottiene un punteggio di 43/100 con l’indice Gulpease).
Sul modello di questo testo, che espone l’evoluzione delle norme giuridiche, comporre una relazione di circa 1200 parole approfondendo un altro aspetto del Gender Gap: la discriminazione femminile nel lavoro. Dati statistici importanti si trovano su molti siti. Scegliere fonti attendibili e autorevoli, come il World Economic Forum.